Si riporta la Prefazione del Collegio dei Redattori della Rivista " QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO" al volume in oggetto.
Prefazione
Lo
studio della prigionia di guerra presuppone sempre l’analisi fattuale dei
precedenti cicli operativi che hanno dato origine alla prigionia stessa. Non fa
eccezione la prigionia italiana in mano britannica, in particolare in Kenya,
nella seconda guerra mondiale. Pertanto è stato quindi conseguente prendere in
esame gli avvenimenti che si sono svolti dal 1935 al 1940 in Etiopia, ma anche
in Eritrea, e Somalia, territori che all’indomani dei medesimi si denominò
Africa Orientale Italiana (A.O.I.). L’arco di tempo considerato si conclude con
la vittoria dei Britannici che accettarono la resa delle truppe italiane in
A.O.I. che furono avviati in prigionia. Il presente volume è il primo che viene
edito a premessa di quello che descriverà la prigionia in Kenya. E’ una pagina
di storia militare italiana molto interessante. Le premesse sono esaltanti:
tutto iniziò con l’attacco all’unico stato sovrano africano, presente alla
Società della Nazione con una guerra che ebbe dei risvolti degni di nota. Non fu
lesinata nessuna risorsa. L’aspetto del sostegno logistico fu da manuale: al
soldato italiano in questa guerra non mancò nulla ed ebbe tutto se non in
abbondanza almeno più che sufficientemente, anche operando in un terreno non
certo facile e di scarse risorse locali. Anche sotto il profilo psicologico
ebbe un sostegno particolare: tutta la Nazione diede il suo sostegno. La
vittoria conseguita sul campo si tramutò in un trionfo e, come è stato
ampiamente documentato da Renzo de Felice, il regime ebbe i suoi anni del
consenso, consenso di ampissima portata e che non riuscì a ripetere negli anni
successivi con le altre iniziative sia di politica interna che estera. Su
questo successo del regime occorre ritornare a riflettere. Sulla base dei
documenti di archivio, lasciate dagli stessi protagonisti e disponibili fin
dagli anni ’80 del secolo scorso, si deduce che la realtà nel nostro Impero non
era quella che si credeva. La stessa guerra, condotta da colui che al ritorno
fu osannato come uno dei generali più capaci della nostra recente storia
militare, nelle sue reali dimensioni non sembra essere quella che fu
presentata. Lasciata Etiopia dopo aver conquistato la capitale e solo il 10%
del territorio, Badoglio non era riuscito ad annientare e distruggere il grosso
delle forze armate etiopi, che rimasero in armi ed alimentarono una guerriglia
che praticamente non fu mai estinta. La presenza italiana nel territorio sotto
il profilo politico, amministrativo, economico, sociale lascia molte ombre,
anche considerato che siamo ancora in una era il cui colonialismo europeo,
seppure al tramonto, giustificava politiche non certo apprezzabili ed esaltati
di esercizio del dominio. La missione di civiltà che l’Italia si era incaricata
di svolgere in Etiopia, così come nelle altre colonie, ovvero in Eritrea e in
Somalia, era più sulla parola che nei fatti. Nell’immaginario collettivo i
soldati che lasciano il fucile per prendere il piccone e la carriola per
costruire strade ebbe effetto sulla pubblica opinione italiana di allora, ma
spesso queste strade dovevano essere costruite per lo spostamento di truppe, e
quindi per il controllo del territorio, che altrimenti rimaneva in mano alla formazioni
ribelli che facevano capo al Negus riparato all’estero. Esistono tanti spunti
della nostra presenza in Africa Orientale Italia in cui esiste un divario tra
quanto si raccontava e quanto la relata dettava. Scostamenti che emergono in
maniera evidente dalla consultazione delle carte di archivio lasciate dai
protagonisti di allora, ma non solo quelli di vertice, anche dai coloro che
svolgevano funzioni dirigenziali, direttive ed esecutive. Scostamenti evidenti
che, se messi in sistema, fanno emergere una realtà, che ovviamente non è
conosciuta nei suoi dettagli, che fa apparire la narrazione che conosciamo di
questi avvenimenti, tutta basata sulla propaganda, non accettabile. Il volume
pone l’accento, sempre attingendo dalle carte dei protagonisti di vertice
italiani della ribellione etiope, che nella sostanza è la difesa di uno Stato
sovrano dalla occupazione straniera, e, soprattutto, dal regime di occupazione
instaurato. Una ribellione, che possiamo chiamare senza pudori resistenza alla
presenza italiana che porta pagine che, a parti invertite, saranno scritte in
Italia nei territori sotto occupazione tedesca. Il volume, quindi, vuole
offrire materiali documentari per comprendere le orgini della prigionia
italiana in mano britannica, con una analisi della situazione che prescinde
dagli aspetti militari, che saranno trattati nel prossimo volume.
Il Collegio dei Redattori
della
RIVISTA “QUADERNI”
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