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venerdì 29 aprile 2011

Ritirata di Russia. Dal Don a Nikolajewka nel 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia.

20 Jan 2011
Rossosch (Medio Don). Percorrere una delle strade più tragiche della Storia d’Italia. E’ questa l’idea, che sta realizzando un gruppo di camminatori lombardi. Sono in cinque, tutti con considerevoli esperienze come alpini e scout. Alessio Cabello, Cristiano Baroni, Diego Pellacini, Giancarlo Cotta Ramusino e Nicola Mandelli hanno organizzato questa passeggiata di oltre 150 chilometri dalle rive del fiume Don a Nikolajewka, l’odierna Livenka, dove, il 26 gennaio 1943, quello che rimaneva delle divisioni italiane riuscì a rompere l’accerchiamento delle truppe sovietiche ed uscì dall’infernale “sacca”. Decine di migliaia di nostri ragazzi persero la vita in quelle giornate terribili, le peggiori di sempre per le Forze Armate italiane. Le temperature erano allora intorno ai 30 gradi sottozero, i campi pieni di neve e le vie principali occupate dai mezzi corazzati sovietici.
 L’anniversario del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia ha reso questa iniziativa ancora più significativa. Il nostro – hanno scritto prima della partenza – “è un cammino che vuole incontrare anche coloro che vivono in quelle terre. Non ci sono vette da conquistare o méte da raggiungere. E’ un viaggio per ricordare quanto terribile sia il dramma della guerra e per prodigarsi per evitarla in futuro”.
 In passato tre di loro hanno percorso più volte il cammino di Santiago di Compostela, quello di San Francesco, la via Francigena. Diego Pellacini ha girato molto in America ed in Africa, mentre Nicola Mandelli ha scalato montagne come l’Aconcagua o il Kilimangiaro.
 “Ogni territorio – dice Giancarlo Cotta Ramusino – vive la propria evoluzione: il tempo non si è certo fermato al 1943 così come verso Roncisvalle non si ode il corno di Rolando”. Proprio per cercare al massimo il contatto con la gente il gruppo non ha portato con sé delle tende. Come 68 anni fa furono costretti a fare i militari dell’Armir – per non restare di notte all’addiaccio – chiederanno ospitalità nelle izbe. Sono tantissime le storie delle donne russe ed ucraine che curarono, salvandoli, i nostri poveri ragazzi assiderati così assomiglianti ai loro figli schierati, però, sul fronte opposto. L’anima slava ha sempre un posto di riguardo verso chi soffre.
 “L’idea di questa impresa – continua Cotta Ramusino – è venuta a Cristiano Baroni circa un anno fa. A me subito è apparsa un po’ troppo ambiziosa”. La parte più complessa è stata quella di raccogliere informazioni sufficienti soprattutto perché nessuno del gruppo parla russo. L’incontro con la professoressa Gianna Valsecchi e l’ausilio della sezione Ana di Casatenovo si sono rivelati “fondamentali”.
 Infatti, se si cerca sulle carte geografiche russe non si trova Nikolajewka, dizione presente sulle carte militari tedesche della Prima guerra mondiale utilizzate dalle truppe italiane. Lo stesso Mario Rigoni Stern, autore dell’indimenticabile racconto “Il Sergente nella neve”, ebbe non poche difficoltà a ritrovare il luogo dove lasciò per sempre tanti suoi compagni d’armi. Scoprì, però, l’izba in cui mangiò insieme a dei soldati nemici in un momento di tregua della battaglia. Certe cose incredibili accadono solo in Russia.
Vedi anche MUSEO DEL MEDIO DON Rossosch – Russia.
g.d’a.

venerdì 22 aprile 2011

RICERCHE. ALBANIA. DIVISIONE PERUGIA 1943

                                               La vicenda della Torpediniera "Probitas"
Il Signor Vincenzo Rago scrive

Non so se è a conoscenza del fatto che a luglio dello scorso anno alcuni sub hanno individuato nella baia di Sarande il relitto della Probitas.
Hanno condotto una esplorazione sulla nave affondata, come è noto, il 25 settembre 1943 a seguito dei ripetuti bombardamenti condotti dagli aerei tedeschi.
Ironia della sorte l’ordine di imbarco prevedeva che ad imbarcarsi per primo doveva essere proprio il II Btg. “Ciclisiti”……
Comunque sono in  contatto con i sub che hanno condotto l’esplorazione ed ho anche le foto.
Particolare interessante è che la nave non si trova nel porto bensì in rada. E questo lo sapevamo. Quello che però che non sapevamo (almeno io non lo sapevo) è che la nave ha le ancore praticamente issate. In altri termini mi spiegava il sub, che è un esperto sottufficiale di Marina, la nave non era ferma ma, probabilmente, era già in condizione di manovrare e stava manovrando.
Da ricerche condotte risulta che la mattina successiva entra in rada il MAS 516 con nuovi ordini per la “Perugia”. Si ma quali erano gli ordini? Ma gi ordini di portarsi a Porto Palermo non erano già stati recapitati con un aereo? Lei ha notizie più precise in merito?
Lo scorso 7 ottobre sono stato a Kuç per celebrare l’anniversario della fucilazione (con me c’era anche Gustavo Lanza nipote dell’omonimo colonnello comandante il 129°) e poi mi sono spinto fino a Sarande dove ho visitato baia Limione. Li non c’è niente che ricordi l’eccidio di Chiminello e dei suoi ufficiali. Peccato. Solo qualche vecchio pescatore ricorda il massacro dei soldati italiani. Eppure quei luoghi sono rimasti immutati. Avevo con me le due foto scattate dai tedeschi durante la fucilazione di Chiminello e Bernardelli. I luoghi sono perfettamente riconoscibili.
Brutta storia quella della “Perugia”: abbandonata oggi come allora!
Chi avesse notizie ed informazioni in merito può utilizzare la e mail ricerca23@libero.it

mercoledì 13 aprile 2011

Il Processo di Tokyo 1946

 
Il processo di Tokyo rappresenta un naturale controaltare al processo di Norimberga. Il 3 maggio 1946, si insedia  a Tokyo il Tribunale Militare per l’Estremo oriente. Undici sono le nazioni partecipanti ciascuna con un proprio rappresentante: Gran Bretagna, Stati Uniti, Australia, Unione Sovietica, Cina, Francia Canada, Paesi bassi, Nuova Zelanda, India e Filippine.
I capi di accusa per il processo sono uguali a quelli di Norimberga: crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Ma il profilo operativo del processo ha delle precise connotazioni. Il Tribunale Militare  giudicherà solo gli individui responsabili di crimini contro la pace. Lascerà alle nazioni i cui territori sono stati invasi dal Giappone la possibilità di giudicare, ed eventualmente condannare, individui accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Sotto accusa è la politica aggressiva ed imperialistica del Giappone dal 1931 al 1945 e per questo sono incarcerati e tradotti nella prigione di Sagomo  a Tokyo oltre 250 persone. Tra queste sono individuate i 28 imputati che si dovranno presentare e rispondere al Tribunale Internazionale.  Sono per lo più militari e diplomatici. Tutti hanno avuto un ruolo primario nella politica giapponese. Oltre a Hirota Koki, Tojo Hideki, il principe Konoe Fuminaro, che si suiciderà prima dell’inizio del processo, , nella lista degli impatati figura Okawa Shumei, che viene considerato uno dei massi responsabili, come ideologo, indiretti delle violenze della guerra di agrressione giapponese.
In cima alla lista ci dovrebbe essere l’imperatore Hiro Hito: la formula di questa assenza è individuta nel fatto che teoricamente era un monarca costituzionale e quindi “irresponsable” nelle decisioni prese dal governo; in realtà il non mettere sotto accusa l’imperatore deriva da un preciso accordo tra Alleati e Giappone al momento della resa. Sarebbe stata un onta, quasi un aprire il vaso di pandora in termini di ribellione e resistenza da parte del popolo giapponese se avesse assistito al processo di un Imperatore che era considerato quasi un semidio.. Capofila degli imputati rimase il generale Tojo Hideki, che dal 1941 al 1944 fu uno dei maggiori artefici della conduzione della guerra del Giappone.

Il Tribunale Internazionale fu presieduto dal giudice Willian Webb, di formazione anglosassone, ma australiano di nazionalità. Gli altri giudici sono i rappresentanti dei Paesi che hanno subito le violenze giapponesi.

La difesa degli impuati è basata, nella sostanza, nel fatto che le decisioni erano prese in seno al Governo, in modo collegiale, e che nessuno di loro avrebbe potuto opporre una qualsiasi resistenza alle decisioni del governo stesso. E’ una difesa che in pratica riverbera quella degli imputati di Norimberga ( gli ordini dovevano essere eseguiti). 
Il dibatto è seguito con molta enfasi dalla stampa internazionale, soprattutto da parte di quella statunitense; a tratti il processo pare una vera a propria sottolineatura del ruolo dei vincitori.
I testimoni ascoltati sono 419, mentre vengono raccolte oltre 800 deposizioni. I documenti acquisiti agli atti sono circa 4300, mentr eil processo verbale consta di circa 48.000 pagine.  Le udienze terminano il 16 aprile 1948, le sentenze vengono emesse il 12 novembre dello stesso anno, in un mondo che ormai ha capito che la guerra conclusa anni prima non ha risolto praticamente nulla e nuovi venti di guerra si profilano all’orizzonte.  Tutti gli accusati, ad eccezione di due, sono considerati colpevoli. 7 vengono condannati alla pena di morte, mentre i rimanenti all’ergastolo. La sentenza finale è raccolta in un volume di 1218 pagine.

Non vi è spazio per approfondire l’azione parallela e seguente alla attività del Tribunale Internazionale di Tokyo.  Nei territori occupati dal Giappone gli individui accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità perseguiti dalla Giustizia nazionale del paese invaso, saranno 5700, di cui 920 saranno condannati, con sentenza eseguita, a morte.
In generale, suddivisi in Criminali di categoria A, B,C, saranno oltre 200.000 glaccusati che verranno sottoposti a provvedimenti di vario genere, in una gamma che va dalla pena capitale alla epurazione dai pubblichi impieghi.

Il valore del processo di Tokyio, come quello di Norimberga sta nel fatto, più volte sottolineato che  un Governo o un vertice politico può essere chiamato a rispondere delle sue azioni. Questo ha avuto un significato rilevante in Europa, ma ancor più in Giappone, ove i governanti quasi erano sfiorati dalla concezione religiosa in cui si ammantava l’imperatore.

Il processo di Norimberga ed il processo di Tokyo, come ebbe a dichiare il capo degli accusatori a Norimberga Robert Jackson , avevano l’aspirazione di “apparire ai postei come l’adempimento dell’aspirazione una man alla giustizia”. In parte questa aspirazione è andata delusa, in virtù della violazione dei principi della irretroattività della legge penale e della giustizia uguale per tutti . Altro aspetto controverso il fatto che sia a Norimberga che a Tokyo fu sollevata dalla difesa la questione della giustizia dei vincitori sui vinti. E’ facile constatare che nessun processo per crimini di guerra e contro l’umanità fu intentato a carico degli Alleati.

Ma i processi di Norimberga e di Tokyo, pur nelle loro limitazioni giuridiche  e limitazioni certamente censurabili, sono processi che, forse, erano il meglio che la Comunità Internazionale in quel momento storico potesse esprimere hanno però una loro valenza ed hanno lasciato una eredità degna di Nota.
Due i punti fondamentali di questa eredità: l’ordine superiore non libera nessuno dalla propria responsabilità penale; la legittimazione della giurisdizione penale universale.
Dai processi di Norimberga e Tokyo si potevano, però, trarre ammaestramenti che sono stati ignorati nei decenni successivi: il fattore tempo ed il fattore luogo . Norimberga durò meno di un anno,  Tokyo poco più di due anni. I processi si svolsero lì dove aveva un significato: a Norimberga furono emanate nel 1935 le leggi sul sangue e sull’onore tedesco, simbolo del potere e del programma nazista.

Processi che hanno aiutato a superare “il passato che non passa” in Germania e in Giappone, che hanno inciso nella coscienza storica di una Nazione e che hanno evidenziato  la necessità di riflettere su certe ideologie e soprattutto che si pongono come una barriera al rifiorire di simili ideologie e quindi di rivivere le violenze che hanno prodotto.  Processi utili alla Nazione. Al contrario dell’Italia, in cui la cosiddetta” mancata Norimberga italiana” ha generato revisionismi, negazionismi e rifioriture  di tutte le risme, come se i disastri le violenze i lutti e il loro corollario che hanno marchiato due generazioni  fosse passato inutilmente.

martedì 5 aprile 2011

Collana Storia in Laboratorio

N. 1. Edoardo Giorni di Vistarono, Alessandro Cicogna Mozzoni.

         Umberto Utili, un generale scomodo. 2008

N. 2. Massimo Coltrinari

          L’8 settembre in Albania
          La crisi armistiziale tra impotenza, errori ed eroismo. 8 settembre- 7 ottobre 1943. 2009

N. 3. Massimo Coltrinari, Laura Coltrinari

          La ricostruzione e lo studio di un avvenimento storico militare. 2009

N. 4. Massimo Coltrinari, Paolo Colombo

          La Divisione “Perugia”
          Dalla tragedia all’Oblio. Albania 8 settembre -3 ottobre 1943. 2009

N. 5. Massimo Coltrinari,

          Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo. 18 settembre 1860., 2009

N. 6. Giorgio Prinzi, Massimo Coltrinari

          Salvare il Salvabile
          La crisi armistiziale dell’8 settembre 1943: per gli Italiani, il momento delle scelte, 2010


N. 7. Pierivo Facchini

          La campagna di Tunisia. 1942-1943 2010


N. 8 Massimo Coltrinari,

          L’investimento e la presa di Ancona.
          La conclusione della campagna di annessione delle Marche 20 settembre – 8 ottobre 1860,
          2010


N.9 Nicola della Volpe

           I Militari nella Guerra Partigiana (1943-1945)
 
Per infomarzioni sulla collana, risorgimento23@libero.it; per acquisti diretti ordini@nuovacultura.it