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giovedì 28 gennaio 2021

La battaglia di Adua. ed i prigionieri. L'intervento umanitario di Leone XIII


Nella Italia laica e massone di fine ottocento, con ancora aperta la questione romana erede del risorgimento e ancora aperto il conflitto fra Stato e Chiesa, la sconfitta di Adua butto ulteriore benzina sul fuoco quando il Papa regnate Leone XIII si interesso apertamente dei prigionieri italiani in mano Etiope. La classe politica italiana e gli ambienti militari videro in questo gesto umanitario un ulteriore umiliazione che si riverso nel concreto sui protagonisti di Adua e sopratutto sui prigionieri

                                                                           Leone XIII


 Leone XIII scrisse cosi a Menelik:

Al Potentissimo Menelik Negus Negesti, Imperatore dell’Etiopia

Potentissimo Negus Negesti, salute e prosperità

Vi è piaciuto una volta di salutare con atto spontaneo il comiciamento del nostro pontificato e, dieci anni dopo, in occasione del Nostro Giubileo sacerdotale, ci avete data una nuova testimonianza della vostra cortesia. Queste prove di benevolenza hanno allietato il nostro cuore; esse provano il vostro. Cosi è al vostro cuore di Monarca e di cristiano che si rivolge oggi la Nostra parola per consigliarvi un atto di generosità sovrana. La vittoria ha lasciato nelle vostre mani numerosi prigionieri. Sono giovani, vigorosi e degni di rispetto, che nel fiore degli anni ed all’aurora delle più belle speranze sono stati tolti alle loro famiglie ed alla loro patria. La loro captività non aumenta né la misura della vostra potenza né l’espressione del vostro prestigio; ma quanto essa si prolunga tanto più vivo è il dolore nell’anima di migliaia di madri e di spose innocenti. Noi, compresi della santa missione che ci ha confidato Nostro Signore Gesù Cristo e che si estende a tutte le nazioni cristiane. Noi li amiamo come figli. Aggradite dunque la domanda che il cuore di un padre vi fa nel nome della Trinità Divina, nel nome della Vergine benedetta, nel nome di tutto ciò che vi è più caro in questo mondo; vogliate senza ritardo rendere loro la libertà. Potentissimo Negus Neghesti, non vi rifiutate di mostrarvi magnanimo agli occhi delle nazioni. Registrate questa pagina gloriosa negli annali del vostro regno. Che sono alla perfine i diritti implacabili della guerra di fronte ai diritti ed ai doveri della fraternità umana?

Dio ve ne renderà una ricca ricompensa perché Egli è Padre misericordioso! Mille voci si innalzeranno in coro per benedirvi e la Nostra si farà attendere per prima. Attendendo Noi imploriamo dal Cielo sulla famiglia reale tutti i beni desiderabili

Dato a Roma presso San Pietro, l’11 maggio dell’anno 1896, diciannovesimo del Nostro Pontificato.  Leone P.P.XIII

A questa lettera Melelik rispose nella seguente maniera

“Leone vincitore della tribù di Giuda – Menelik eletto Signore Re dei Re d’Etiopia, pervenga a Sua Santità Leone XIII Papa

Salute!

Ho ricevuto da monsignor Macario la paterna lettera, colla quale Vostra Santità, dopo aver ricordato graziosamente le anteriori nostre relazioni, faceva appello ai miei sentimenti di clemenza in favore dei prigionieri italiani che la volontà di Dio ha posto nelle mie mani. Aggiungo che Vostra Santità non poteva scegliere per interprete dei suoi sentimenti un inviato più eloquente e più simpatico di S.E. monsignor Cirillo Macario.

Sono stato vivamente commosso leggendo l’ammirabile lettera del Padre comune di tutti i Cristiani ed ascoltando il linguaggio del suo illustre inviato, il primo movimento del mio cuore era stato quello di dare a Vostra Santità la soddisfazione che mi domandava così nobilmente; perché io pure piango sulle numerose ed innocenti vittime di questa guerra che ho coscienza di non averla provocata. Disgraziatamente il mio vivo desiderio di realizzare i voti di Vostra Santità è stato contrariato dall’attitudine impreveduta del Governo Italiano il quale, dopo avermi espresso il desiderio di far pace, e di ristabilire le buone relazioni fra noi, continua ad agire a mio riguardo come se fossimo in stato di guerra. Il mio dovere di re e di padre del mio popolo, mi interdice in siffatta circostanza di sacrificare la sola garanzia di pace che ho nelle mie mani alla soddisfazione di essere gradito a Vostra Santità ed a me stesso.

E’ con la più profonda tristezza che dopo di aver tutto pesato nella mia coscienza di monarca e di cristiano sono costretto a rinviare a tempi migliori la testimonianza di affetto e di alta stima che avrei desiderato di dare a Vostra Santità.

Spero che la gran voce di Vostra Santità che tutti i cristiani ascoltano con rispetto s’innalzerà in favore della giustizia della mia causa che è quella della indipendenza del popolo di cui Dio mi ha confidato il governo: e quello che Ella renderà così molto vicina la realizzazione del nostro comune desiderio di rendere alle loro famiglie coloro che ne sono separati.

Posso, attendendo, rassicurare Vostra Santità sulla sorte dei prigionieri italiani che non ho cessato di proteggere e di trattare secondo i doveri della carità cristiana, ed ai quali in considerazione di Vostra Santità accorderò, ancora, se è possibile delle agevolezze. Scritto nella nostra città di Addis-Abeba 22 Mascaram 1889 dell’anno di grazia (1 ottobre 1896).

 

giovedì 21 gennaio 2021

La Battaglia di Adura e i prigionieri italiani in mano etiope.

 


I 1.900/2000 prigionieri Italiani, furono quasi da subito assegnati ai vari capi, seguirono la ritirata delle forze del Negus in difficilissime condizioni; queste, poi migliorarono con il passare delle settimane e dei mesi e divennero accettabili con la firma del Trattato di pace e nel complesso finirono per avere un trattamento umano compatibilmente con gli usi e le possibilità locali. Il loro trattamento e la loro vita era in realtà, assicurata, dalla volontà del Negus di disporre di una merce di scambio per ottenere condizioni soddisfacenti di sicurezza e guadagno. Il Negus in un primo momento, peraltro, aveva fatto conoscere la sua intenzione di liberare i prigionieri italiani con il semplice riscatto. Un’azione risoluta e chiara delle nostre autorità avrebbero già all’inizio dell’estate del 1896 risolto il problema dei prigionieri.

Questa notizia, arrivata prima a Massaia e poi in Italia fece si che si presero varie iniziative, tutte private, per porre fine alla prigionia. Il Governo organizzò una Missione ufficiale che fu affidata al maggiore Nerazzini. Questi il 10 settembre giungeva all’Harrar e qui si incontrava con Ras Maconnen accolto con grandi onori.

Oltre alla missione governativa, si misero in essere due altre missioni, di  carattere umanitario, che non poco irritarono il Governo e le Autorità in genere per il loro indiretto carattere antistatale . Una promossa dal Comitato delle Dame Romane,  con alla guida da Padre Oudin; l’altra dal Padre Macario, inviato dal Pontefice Leone XIII.[1]

 

Le due missioni umanitarie fallirono, e, da come si può dedurre dalla risposta di  Menelik, vedendo come si sviluppava la questione dei prigionieri  in Italia, aveva cambiamo atteggiamento: da un semplice riscatto volto a fare denaro, voleva anche dei vantaggi politici.

A Papa Leone XIII, sostanzialmente Menelik diede una risposta negativa in quanto ormai considerava la questione dei prigionieri una delle sue migliori carte per addivenire ad un Trattato di Pace con l’Italia. Durante le  trattative di queste missioni si svolse il caso curioso dei 50 prigionieri italiani offerti in dono allo zar Nicola II che li girò all’Italia e degli altri due simbolicamente offerti a mons. Cirillo Macario, inviato di Papa Leone XIII che aveva chiesta invano la liberazione di tutti i prigionieri: iniziativa che solleverà ancor più problemi ed irritazione nell’Italia laica e monarchica.

In questi frangenti i prigionieri sono stati usati come pedine sulla scacchiera delle relazioni tra le Nazioni, non titolari di diritti ne tanto mento di superiori interessi umanitari. Monsignor Camillo Macario, nonostante che la sua missione fosse fallita, rientro portando con se un elenco contenete i nomi e tutti i dati più significativi relativo a 1145 prigionieri italiani, di cui 50 ufficiali 51 sottufficiali e 1044 soldati.  L’elenco non comprendeva circa 150 prigionieri che erano trattenuti nell’Harrar. Di questi non si conosceva il nome. Fallite le due missioni umanitarie, quella governativa, avendo capacità di fare delle concessioni politiche, ebbe successo.

Il trattato di pace fra l’Italia e l’Etiopia fu stipulato il 26 ottobre 1896. Nel trattato furono aggiunte clausole minori, tra cui il rilascio, tramite convenzione,  dei prigionieri in mano etiope.



[1]

giovedì 14 gennaio 2021

La Battaglia di Adua. Le ripercussioni sulla politica italiana

 


Le perdite dei reparti indigeni non sono esattamente valutabili ma furono certamente gravi. Alcune fonti parlano di 2800 ascari eritrei: 1000 caduti, 1000 feriti, il resto, destinato ad una triste sorte, prigionieri.

 Fu perduta tutta l’artiglieria (56 cannoni) e in più 11.000 fucili e gran parte delle munizioni, vettovaglie, cavalli e salmerie! I Prigionieri Nazionali furono circa 1900, mentre altre fonti parlano di 2000 ed 800 fra le Truppe Coloniali. Soprattutto crudele fu la sorte di questi nostri soldati coloniali: infatti gli Etiopi furono particolarmente crudeli con gli ascari eritrei e trigrini caduti nelle loro mani. Ai prigionieri furono tagliati la mano destra ed il piede sinistro per impedir loro di montare a cavallo per il resto della loro vita. Delle perdite abissine, si hanno solo vaghe stime: 3500-12.000 morti e 7.500-24.000 feriti, ma gli italiani, in rotta, non fecero prigionieri. L’onta di Adua costò all’Italia 200 milioni di lire di allora, pari a 1350 miliardi d’oggi (700 milioni di Euro), ma allora le guerre coloniali si combattevano con poche decine di migliaia di armati, anche indigeni, cavalli, muli e cannoni! [1]

 

Nel mese di maggio viene data sepoltura a 3025 nostri caduti, 1500 dei quali fuori del campo di battaglia, per lo più in fuga senza scarpe e mal camuffati da indigeni col panico d’essere catturati e magari evirati! Baratieri, sostituito da Baldissera, viene processato per incapacità, con un giudizio-farsa assolutorio che chiude la sua carriera. Il 18 giugno cessa lo stato di guerra e il 26 ottobre viene firmata la Pace di Addis Abeba: l’Italia tiene Massaua, la fascia costiera e rinuncia al protettorato. L’anno seguente verrà costituita la Colonia Eritrea. La sorte dei prigionieri italiani in mano al Negus fu per il momento accantonata, ancora essendo viva la delusione e l’irritazione per la sconfitta: infatti nelle guerre coloniali era la prima volta che un Esercito Europeo composto da bianchi subisse una sconfitta così pesante.  Il disastro di Adua contribuì a formare ulteriori perplessità consistenti sulle capacità dei militari e ne mise in discussione il ruolo in una società all’interno della quale la loro immagine non aveva per la verità mai goduto di grande prestigio.[2] La vicenda dei prigionieri militari italiani lasciati in mano ai etiopi non contribuì a migliorare la situazione. Caduto il precedente governo, fu nominato il 14 il nuovo governo, dimissionario il precedente il 11 luglio 1896. Ministro della Guerra fu Luigi Pelloux, appena nominato senatore, uno dei più convinti assertori del non intervento italiano in Africa. Alla Presidenza ed all’Interno fu confermato Di Rudinì. Il 21 luglio 1986 alla Camera  il Di Rudinì sottolineo che a questione dei prigionieri era di estremo interesse per il Governo e che nulla rimaneva intentato per risolverla[3] sottolineando, peraltro, che non si poteva giungere ad una nuova guerra per liberare i prigionieri. La vicenda dei Prigionieri divenne, in quegli anni certo non facili uno dei motivi di scontro tra le varie componenti politiche del tempo. Nel frattempo la detenzione presso il Negus non certo favoriva una soluzione a breve.



[1] Bellavista E., La Battaglia di Adua I precedenti – La battaglia – le conseguenze (1881 –1931), Genova, Fratelli Melita Editori, 1931.

[2] Sarà del 1896 la repressione violenta, con l’uso anche dei cannoni delle manifestazioni popolari a Milano da parte del gen. Bava Beccarsi che acuì ancora di più lo scollamento fra Esercito e Nazione.

[3] “...la questione dei prigionieri interessa in sommo grado tutto il Ministero e per conto mio dichiaro che questa è la spina più dolorosa che ci sia in tutta la questione africana”…..Il Governo ha fatto tutto quanto era possibile, non solo per essere informato del numero, della quantità e dello stato dei prigionieri, ma benanco per far giungere loto tutti i soccorsi possibili, ed ha fatto anche tutto quello che era possibile per riprendere i contatti coll’imperatore Menelik inviando il maggiore Nezzarini a Zeila collo scopo di mettersi in rapporto con questi di conoscere le sue intenzioni relative ai prigionieri e di fare le trattative perché essi siano liberati”.

giovedì 7 gennaio 2021

La Battaglia di Adua ed i Prigionieri di guerra.

 


Il problema dei prigionieri in mani avversarie si verificò, per l’Esercito Italiano, nelle guerre coloniali, cioè in Africa Orientale dopo la battaglia di Adua, e in Libia per i non numerosi detenuti da forze turco – arabe o senussite. Tutto cominciò con l’armatore Rubattino che, dopo il taglio del Canale di Suez (1867), acquistò i diritti di scalo ad Assab e li rivendette all’Italia (1882). Seguì l’occupazione italiana del porto di Massaua (1885), primo possedimento italiano in Africa, poi dell’Eritrea e della Somalia (1887-89). Il 2 maggio 1889 si installa il protettorato italiano sull’Abissinia e Menelik II diventa, con l’appoggio italiano, Negus Negesti, ma ringrazierà l’Italia dichiarandole guerra!

Dopo massacri di truppe italiane a Dogali (nel 1887, con 500 caduti) e all’Amba Alagi (nel 1895, con 3000 caduti), il 1 marzo 1896 il gen. Baratieri, è travolto nella battaglia di Adua per errori strategici e sottovalutazione del coraggio e delle forze nemiche, ritenute di 30.000 guerrieri e che invece impegnarono quasi 140.000 guerrieri, con un largo seguito di servi e familiari.

Roma apprenderà la sconfitta da questo laconico messaggio: “Attacco scioano impetuoso, avvolgente destra sinistra, obbligò truppe ritirata che presto prese aspetto di rovescio. Tutte le batterie di montagna cadute in mano del nemico”. Crispi si dimette mentre in tutta Italia scoppiano tumulti, anche con grida di “Viva Menelik!”, rafforzando le opposizioni popolari.

Su una forza complessiva di 107.400 uomini disponibili in colonia, alla Battaglia di Adua parteciparono 9837 soldati e 571 Ufficiali. I caduti furono 3772 soldati (39% della Forza) e 262 Ufficiali (46% della forza) fra le truppe nazionali. Altre fonti parlano di 4900 Caduti di cui 289 ufficiali, con 500 feriti.


Massimo coltrinari ( ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org)