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giovedì 20 ottobre 2022

l Retaggio della Prigionia nella Seconda Guerra Mondiale Mario e le stragi di Capua. I Guerra contro Giugurta

 Queste norme tanto spesso trascurate, non sono diventate oggetto di diritto positivo riconosciuto su un piano internazionale se non all'inizio del nostro secolo. Nel corso di queste nostre pagine non abbiamo riscontrato il rinnegamento di queste norme durante la Seconda Guerra Mondiale ma il più folle gioco di travisamento a cui risorse l'una e l'altra parte in conflitto, per renderlo inefficiente, senza mostrare preoccupazione per l'unità del fatto che con tale procedimento si ponevano al di fuori della stessa condizione umana, decine di migliaia di uomini.


Si avvertì, peraltro, la debolezza della applicazione della Convenzione di Ginevra del 1929 sui prigionieri di guerra e subito si pose mano ad un suo rinnovo che vide la pubblicazione di quella ancora in vigore che è la Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra, geriti ed ammalati del 1949, con i protocolli aggiunti del 1977.

Da ultimo, come retaggio della prigionia di guerra, si ebbe il Germania il Processo di Norimberga, iniziato nel 1946 e in Giappone il Processo di Tokio contro i responsabili nazisti e giapponesi, accusati di reati che proprio detti processi determinarono: i reati contro l’umanità e la pace per crimini di guerra ed altre configurazioni delittuose contro civili, prigionieri ed inermi. Oggi, Mario per le sue azioni contro gli abitanti di Capua sarebbe condannato per crimini contro l’umanità, a prescindere da qualsiasi motivazione si possa portare.

lunedì 10 ottobre 2022

Il Retaggio della Prigionia nella Seconda Guerra Mondiale Mario e le stragi di Capua. I Guerra contro Giugurta

 

In questo episodio, scelto a caso, uno fra i mille che si possono riscontrare le contraddizioni di base che permangono nella storia di tutta l'umanità quando si pongono a confronto le esigenze della pura giustizia con quelle del diritto che si appoggia alla forza.

E mentre la coscienza dell'uomo sia pure nella sua infinita gamma di gradazioni e nell'estrema labilità delle sue manifestazioni percepisce l'esigenza di una giustizia che sia al di sopra dei conflitti, d'altra parte il corso violento della storia tende ad annullarla con la facile proliferazione delle giustificazioni che tutto il mondo è pronto ad offrire a chi prevale.

Al di sopra però di queste contraddizioni resta un fatto importantissimo, e cioè che nessuno vuole essere chiamato ingiusto, tantomeno il vincitore.

Ne consegue perciò tutto il travaglio di cui è partecipe l'umanità intera che ha per fine la formulazione e l'adozione di concetti di giustizia che non sia unicamente quelli dettati dalla forza e camuffati dall'ipocrisia del vincitore. È attraverso questo travaglio che venne formandosi un'etica che ha messo in crisi le equazioni vincitore-diritto ed ha determinato tutta una serie di comportamenti che hanno reso meno duri i rapporti tra le genti.

Fu così che in tutti i tempi e in tutti i luoghi si trovano delle norme che regolano il trattamento di colui che è l'espressione tipica del vinto, cioè dell'uomo senza diritti, il prigioniero di guerra, il “captivo”, il cui nome trasformandosi nella nostra lingua in “cattivo” venne assumendo tutta quella gamma di significati infamanti che sono l'opposto degli appellativi riservati al vincitore.