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mercoledì 30 giugno 2021

Giorgio Madeddu. Cartoline del soldato Cresci Attilio, prigioniero di guerra presso il campo di prigionia di Feldbach.

 



 

24.6.1918

 

Mio adorato consorte,

in attesa di tue notizie vengo ad inviarti le mie, sono buone come voglio sperare che anche le te vada migliorando. Anche le bambine stanno bene, il bambino è tanto bello è il divertimento di tutti, credi Attilio a me piacere di avere un Angelo così tanto buono, non piange mai comprende tutto quello che noi gli insegniamo e da diversi giorni che chiama babbo e mamma che è un piacere sentirlo da quanto è carino.

Ma a me molte volte mi cade le lacrime ripensando che sei tanto lontano. Ma mi fo coraggio e mi trovo abbastanza tranquilla, farti coraggio anche te! Tutti stiamo bene, saluti e baci dai piccini e tutti e più da me, sono la tua sposa Emma.

Verticalmente sul lato sinistro – sposa Emma – verticalmente sul lato destro - gli interessi mi vanno bene

 


 

La cartolina inviata dall’Italia, indirizzata al soldato Cresci Attilio presso campo di concentramento austriaco di Feldbach, riferisce della preoccupazione della moglie Emma per la mancanza di notizie da parte del marito. Emma era preoccupata anche perché sapeva che le condizioni di salute di Attilio non erano buone e pertanto, gli rivolgeva i suoi affettuosi auspici con la speranza che la malattia di cui il marito era affetto fosse nel frattempo migliorata.

La vita in patria deve comunque andare avanti, Emma forse per non aggiungere ulteriori preoccupazioni, scrive al marito che lei e i bambini stanno bene; Emma si sofferma in particolare sui progressi del neonato, un bel bambino che è la gioia della famiglia.

Emma, pur non lasciandosi prendere dallo sconforto, confessa al marito che a volte è presa da momenti di tristezza mentre lo pensa così lontano, momenti che comunque supera dandosi coraggio, invitando il marito a fare altrettanto e superare con coraggio le avversità.

Gli spazi della cartolina purtroppo sono contenuti, Emma vuole in ogni modo assicurare il marito e negli ultimi spazi residui, lateralmente al corpo della cartolina, sul lato destro, comunica che “gli interessi mi vanno bene”, evidenziando così un ulteriore aspetto della vita economica della famiglia.

Segue

domenica 20 giugno 2021

Pubblicazioni. Prigonia di Guerra I Guerra Mondiale


 


Volume deciato al Campo di prigonia di Celle 


Lettere di prigionieri di guerra italiani, 1915-1918

Libro di Leo Spitzer

Le Lettere di prigionieri di guerra italiani ritraggono il momento in cui le voci degli umili – da sempre relegate nell’oralità dei dialetti – si riversarono come un’ondata di piena nell’italiano scritto, spinte dalle urgenze tragiche della guerra, della fame e della lontananza. ... Google Books

Autore: Leo Spitzer

Genere: Biografia

Anteprima libro

108/517 pagine disponibili


giovedì 10 giugno 2021

Prima Guerra Mondiale Prigionia Cellelager II Parte




 La pagina di diario è stata pubblicata con posto in data 30 maggio 2021 su questo blog e proviene dal taccuino di un ufficiale dell’esercito italiano detenuto nel campo tedesco di prigionia di Celle, nei pressi di Hannover, durante la prima guerra mondiale. Si tratta di un diario anonimo conservato presso l’archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Livorno, scritto da un ufficiale che cadde prigioniero delle truppe tedesche durante la disfatta di Caporetto. Fu deportato prima al campo di Rastatt e poi a Celle-lager. Il 24 gennaio 1918, dopo circa tre mesi di prigionia decise di iniziare a scrivere “quotidianamente e coscientemente” le sue memorie. Le sue pagine di diario, sebbene scarne di informazioni anagrafiche, permettono di tratteggiare alcuni dei caratteri della sua personalità e della sua indole. Era un ufficiale del primo reggimento dei granatieri, un corpo scelto per il quale erano richiesti particolari requisiti di prestanza fisica.

 

CelklePrima di cadere prigioniero aveva combattuto la guerra di trincea a capo di ventisette uomini e aveva comandato una sezione di “pistole mitragliatrici”. Dei suoi soldati scrive: avevo 27 uomini, tutti veterani della guerra, e ai quali la patria deve serbare eterna gratitudine per il contegno eroico da essi sempre dimostrato. Dai suoi scritti trapelano patriottismo, convinzione e una radicata adesione alla causa bellica. Era un uomo istruito, colto che durante la detenzione in Germania si dedicò allo studio del tedesco probabilmente per comprendere meglio la realtà che lo circondava; quotidianamente leggeva i giornali che arrivavano nel campo, commentando nel suo taccuino gli avvenimenti bellici.

 

Frequentava assiduamente le attività culturali che venivano organizzate nel campo. Infatti, per reagire a quella che è stata definita la “malattia del reticolato”, ovvero la forte apatia e l’abbattimento provocati dalla reclusione e dalla malnutrizione, gli ufficiali prigionieri unirono competenze e conoscenze e organizzarono corsi, conferenze, dibattiti e, ancora, realizzarono rappresentazioni teatrali, concerti e tornei. Attività con le quali cercavano di resistere alla monotonia dei giorni e all’abbrutimento della reclusione ritrovando la propria identità. Un episodio in particolare permette di rivolgere lo sguardo anche nella sfera intima, negli affetti della vita da civile dell’autore del diario. Nei primi giorni di aprile del 1918, racconta di aver fatto cadere nella fogna il portafoglio nel quale conservava preziosi ricordi: un’immagine di una madonnina miracolosa, la foto di una ragazza amata, il tesserino universitario e una sua foto di quando aveva sedici anni. Piccoli frammenti che raccontano una vita tra studio e amori giovanili.

 


il-campo-di-celle-fotoIl tema ricorrente in ogni pagina del diario è il problema della scarsa alimentazione; l’ufficiale dei granatieri si nutrì per circa un anno essenzialmente con pane e zuppe di carote e patate. Quotidianamente riporta annotazioni sulla carenza di cibo e ancor più sulla mancanza di aiuti dall’esterno. Il fondamentale studio di Giovanna Procacci sui prigionieri italiani della prima guerra mondiale ha dimostrato come l’esperienza della prigionia in Germania per i militari italiani sia stata particolarmente dura. Secondo gli accordi internazionali ratificati con la convenzione dell’Aja, il governo dello stato che catturava i prigionieri doveva garantire a costoro vitto, alloggio, vestiario in quantità e qualità non inferiore a quanto veniva consegnato alle truppe. In realtà gli stati belligeranti si trovarono del tutto impreparati a rispettare il regolamento che rimase generalmente disatteso; in particolare la Germania dichiarò di non poter rispettare le convenzioni in seguito al blocco economico imposto dagli stati dell’Intesa. Di fronte a questa situazione, Francia, Gran Bretagna, e in seguito gli Stati Uniti iniziarono a spedire aiuti collettivi, come viveri, vestiario e medicinali, a spese dello Stato ai propri militari prigionieri. Al contrario il governo italiano decise di non mettere in atto alcun provvedimento di pubblico soccorso: non inviò alcun aiuto statale e semplicemente non proibì alle singole famiglie l’invio di pacchi privati.

 

In un secondo momento, per le pressioni internazionali il governo decise di inviare aiuti collettivi organizzati dalla Croce Rossa ma solo agli ufficiali e dietro il pagamento di denaro da parte dei familiari. Un passaggio del diario parla chiaramente di questo problema: Oggi è venuta la Commissione governativa: il nostro generale [Pisani], comandante del campo, ha parlato con il generale tedesco. Si sono intrattenuti sul trattamento di noi ufficiali prigionieri e dietro le lagnanze del nostro comando ha risposto: – Rivolgetevi al vostro governo e fate sì che egli faccia quello che fa il governo Inglese e Francese: noi non possiamo far di più.- In altre parole voleva dire: se morite di fame non è colpa del nostro governo ma del governo italiano. Per l’ufficiale anonimo la prigionia fu particolarmente difficile perché, per un motivo ignoto, non ricevette mai pacchi di generi alimentari dalla famiglia. Il suo diario-documento è quindi emblematico delle vessazioni subite dai prigionieri italiani, probabilmente anche per una retorica che li vedeva come i perdenti di Caporetto.

 

 (fonte www.istoreco.it  di Livorno)