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mercoledì 23 gennaio 2013

Prigionia italiana in mano alla URSS. Seconda Guerra Mondiale. Il Giornale l'"L'Alba" Prima Parte


Prigionia di Guerra in Unione Sovietica
Il Giornale per prigionieri in lingua italiana “”L’ALBA” 1943-1946
I Parte
La URSS , potenza  detentrice, nel quadro della sua azione di
indottrinamento ideologico verso i prigionieri  italiani in suo potere,
utilizzò  un giornale , appositamente  destinato ai  prigionieri
italiani, dal titolo significativo : “L’ALBA”. Dopo la lunga notte del
 fascismo,  e della guerra erroneamente combattuta  e combattuta male,
ecco, con questo giornale, nel pensiero sovietico  , una fonte di verità per
 gli italiani prigionieri .  Il perché i sovietici, ed i fuoriusciti  italiani
utilizzarono questo mezzo è ben  spiegato fin dal secondo numero de
 “L'ALBA” :"L’ “L’ALBA” era uno strumento utile affinchè i
prigionieri italiani, avessero la possibilità  di istruirsi e di comprendere
quanto avveniva nella Unione Sovietica , e di riflesso nel mondo."[1]
I prigionieri erano sollecitati a porsi domande: su quanto fino ad
allora era successo; perché avevano combattuto, contro chi avevano
combattuto, quali erano  realmente  gli obiettivi dell’Armata Rossa
presenta sempre come un esercito non imperialista ma di “popolo”,
di “nobili cavalieri”, ed altre domande più o meno ovvie, più o
meno imbarazzanti. L’”Alba era diretta  inizialmente da Rita Montagnana,
 e dopo i primi 4 mesi da D’Onofrio, fino al 1944 e poi da Amadesi
Robetto; la Direzione e la Redazione raccoglieva  il meglio della élites
comunista italiana in Russia. Oltre a Togliatti, vi lavoravano
direttamente ed indirettamente, Roberti, D’Onofrio, Germanetto,
 Cerreti, Grieco, Anselmo ed Andrea Marabini, Nieda Orion
(pseudonimo di Teresckenko, l’ufficiale della NKVD che controllava
tutta la redazione)  si  avvaleva  di disegnatori quali Cesare Piccoli,
Fidia Gambetti e  Vincenzo Vitello. Via via  entrarono in redazione
anche prigionieri  italiani, con collaborazioni occasionali quali Giuseppe
Lamberti, i già citati  Fidia Gambetti, Vincenzo Vitello e tutta una schiera 
di aderenti al gruppo antifascista. Il Giiornale arrivò a stampare fino a
7000 copie che sicuramente è un numero, oltre che elevato, anche eccessivo
  in relazione al numero dei potenziali  destinatari che occorre ricordarlo
non segnavano le 10/12 mila unità è e con la liberazione dei prigionieri 
in mano a alla Germania, come internati militari le 21/22mila unità.
L’Alba rappresenta quindi un punto di riferimento nel quadro della
 Prigionia  in mano alla URSS. E’ bene precisare  subito che il suo criterio
era un intento propagandistico di guerra,  oltre che ideologico.
Pretendere che fosse indipendente, libero, e al di sopra della parti è
un assurdo.
Reputiamo che sia storiograficamente inconsistente  la tesi che l’ALBA non è un giornale libero e pluralista e quindi non ha valore. Un giornale, per prigionieri di guerra, nella Unione Sovietica  degli anni di guerra, non poteva godere di libertà maggiori rispetto  a quelle riservate  ai fogli ordinariamente destinati ai cittadini della Unione Sovietica  stessa o almeno cosi’ si può correttamente supporre.
L’”L’ALBA” ha, peraltro, un valore storico in quanto ci permette  di vedere i modi  attraverso i quali  i suoi promotori  miravano a conseguire i loro obiettivi  la valutazione degli obiettivi raggiunti  e gli effetti consegnati presso  i prigionieri.
Dopo aver dato risposte a questi quesiti, vi è poi l’altro ordine di domande : quale uso sia stato fatto dell’”L’ALBA”  fra i prigionieri, quale incidenza ha esso avuto nei contrasti politici  fra i prigionieri , e le relative conseguenze. Esula invece dal nostro campo  le interazioni che “”L’ALBA”  ha sicuramente provocato nel gruppo dirigente  comunista italiano  in URSS, ovvero se all’interno di questo gruppo si sono noti contrasti  sulla linea politica da seguire, e se siamo sorte delle disparità di vedute.
 .
Infatti  è ben chiaro  che i dirigenti comunisti italiani, in URSSS non avevano da anni contatti con le masse italiane in Italia. E questi prigionieri  italiani  in loro mano erano i primi italiani  su cui si poteva  fare liberamente  politica  e propaganda. In pratica una sorta di laboratorio in attesa di rientrare  in Italia, a guerra conclusa, come poi si verificò,  ed iniziare la vera lotta politica.
”L’ALBA”  ha anche questo profilo da analizzare, ed infatti,  come vedremo nella maggioranza  delle  analisi non è altro che una prima espressione della politica  togliattiana che sarà sviluppata nel dopoguerra dal PCI.
Per i prigionieri  ”L’ALBA”, invece,  rappresentò il  ritorno, più o meno  evidente alla normalità. Riuscire a leggere un giornale  significava essere riusciti  dallo stordimento  dovuto  alla fame, alle fatiche, alle malattie ed avere ripreso un minimo  di efficienza fisica.
Secondo Giuseppe Lamberti, nel celebrare nella primavera del 1944, l’anno di vita del foglio, con ”L’ALBA”   i prigionieri avevano ricevuto “una parola di conforto  di speranza “i primi raggi di verità”, .Tramite l’Alba essi avevano appreso i grandi tratti degli avvenimenti in Italia, la crisi e la caduta del regime e lo sviluppo della guerra di liberazione. Come tutti gli articoli  apparsi sul giornale anche questo di Lamberti  deve essere ridimensionato. In realtà il foglio serviva, in primo luogo, a portare la voce degli Ufficiali, per cercare di non lasciarsi andare e mantenere un accettabile dignità. Poi rappresentava un primo collegamento con la realtà esterna, soprattutto con l’Italia, non essendoci corrispondenza  con le famiglie dalla madrepatria. Inoltre si conosceva l’andamento della guerra: la caduta della Tunisia , il tragico 1943 e tutto il resto, notizie anche di carattere politico militare che erano le uniche a disposizione del prigioniero.
Oltre  all’andamento  della guerra il prigioniero  riceveva notizie sulle istituzioni e le realizzazioni sovietiche, nonchè sulle opere, spesso in forma adulatoria, di Stalin. Per questo aspetto  si ripetono alcuni brani di quanto pubblicato  in merito in cui si evidenzia il carattere prettamente  propagandistico  delle notizie. Tratte dal Rapporto URRNI , riportano  queste notizie  le note a margine che evidenziano il citato carattere propagandistico.
Stralci di notizie riguardanti  la vita sovietica. n.12 - 25 giugno 1943”
La giovane comunista Nadesda Tuleneva di Voroscilovgrad ha imparato  la professione di muratore. Nei primi giorni  murava solo 450 mattoni , ora ne mura piu’ di 2.500 per turno. Svetlana Libo, dellla regione di Kirov, ha battuto  il record murando 2506 mattoni in cinque ore.”
n. 26 -  5 ottobre 1943 Paolo ROBOTTI “I kolkoz ed il contadino russo”
“...la collettivizzazione  fu volontaria  e dove furono commessi errori, nel senso di obbligare i contadini  ad entrare  nei kolkoz , il partito intervenne  e revoco’ le misure coercitive dei dirigenti locali.”
(la deportazione di milioni di contadini  all’epoca della collettivizzazione a cosa era dovuta? - n.d.r.)
“.... Lo stato ha dato l’aiuto  indispensabile alla collettivizzaione per rendere meno gravoso il lavoro e più alto il rendimento fornendo  483 mila trattori e 153 mila mietitrici -trebbiatrici.. Quali furono i risultati ? Se nel 1913 la terra seminata era di 105 milioni di ettari  con una produzione  granaria di 833 milioni di quintali, nel 1938  la superficie coltivata era salita a 136 milioni di ettari con una produzione di 950 milioni di quintali. Non è questa la più brillante dimostrazione della giustezza della collettivzzazione?
(Robotti non sapeva fare le divisioni : nel 1913 la resa per ettaro era di 8 quintali. Nel 1938 era solo di 7 quintali per ettaro. In Italia dove non c’era collettivizzazione la resa era di 37 quintali / ha in Lombardia e 11 quintali / ha in Italia meridionale. - n.d.r.)

Sul numero n.107 - 28 aprile 1945 Paolo ROBOTTI scrive:
“.... nel 1937 vi erano 1802 kolkoz che avevano  in banca somme superiori   ad un milione di rubli come fondo sociale........ nel 1943 - 44 i colcosiani  sovietici  hanno versato oltre 5,5 miliardi di rubli di loro spontanea  iniziativa per dare piu’ armi all’esercito ..... centinaia di migliaia  di colcosiani ricevono annualmente  oltre 400 giornate  lavorative. Migliaia  ne ricevono oltre 600. La colcosiana E. Dianova a guadagnato  774 giornate in una regione  dove l’inverno  dura sei mesi ...”

 Nell’”L’ALBA” del n. 127  15 settembre 1945 è riportato:
“... A Nisnj Tahil, l’operaio Stefan Eremenko, nel mese di agosto,  ha compiuto il lavoro dicinque mesi ......... i lavoratori  del Kusbass, il 31 agosto , hanno dato 20 mila tonnellate  di carbone  in piu’ del piano giornaliero....... il minatore  Nikifor Beliakin della miniera di Artem, (Vladivostok) che ha settant’anni il 14 settembre  ha superato la “norma” del 907%. Il minatore Pugacev delle miniere  di Irktsk ha compiuto in un giorno 10 “norme”....”

Se ”L’ALBA” deve dare notizie  di prigionieri  questo non significa  che era lo scopo primario  del Giornale. Obiettivo principale  sempre perseguito era la “defascistizzazione” dei prigionieri, nel quadro  della loro rieducazione politica, a premessa del loro assorbimento ideologico. Alcuni Brani dell’Alba  come esempi del settore della azione di propaganda  sono estremamente significativi a tale proposito
Nel n.1 10 febbraio 1943,  Articolo di fondo, si legge:
“.... oggi per la prima volta nella loro vita, decine di migliaia di operai, contadini, artigiani , impiegati , professionisti , ufficiale di carriera che si trovano prigionieri  nell’Unione Sovietica, sono messi nella condizione  di pensare liberamente  , di conoscere  la verità su un paese  che è stato loro presentando per vent’anni  sotto le luci più fosche.
“.... Così dei cittadini italiani i quali sono stati per tanti anni considerati  dei minorenni nel loro paese, trovano quindi nella prigionia  di guerra, la libertà di pensare con la propria testa e di parlare.”...
La prigionia nell’URSS apre loro una prima grande finestra  sugli immensi orizzonti della libertà. Purtroppo la realtà nell’Unione Sovietica era molto più fosca di quanto si ritenesse in occidente. La libertà di pensare  e parlare, ristretta in modo inaccettabile  in Italia sotto il fascismo, era poca cosa rispetto alla situazione in Unione Sovietica. Per i russi dire quello che pensavano, dirlo anche in privato, era un pericolo mortale. Nei diuturni contatti con la popolazione, i prigionieri  quando uscivano  a lavorare  nei campi, nelle fabbriche nei villaggi potevano constatare il terrore  viscerale di ogni individuo ed il rifiuto  di ogni conversazione su certi argomenti.
Nel numero. 22 7 settembre 1943 Articolo di fondo  “Critica e Polemica”
“... sulle rovine del fascismo  dovrà essere costruito un regime democratico... non solo di nome, ma di fatto; che non abbia paura di appoggiarsi  veramente sul popolo, di estendere e garantire  tutte le liberta’  popolari, di affidare alle masse popolari la direzione ed il controllo effettivo della vita nazionale”.
Nel numero . 115  - 23 giugno 1945 Paolo ROBOTTI
“.... la questione di Trieste  per  un certo tempo  ha mantenuto  una inutile e dannosa tensione sulle frontiere  nord-orientali d’Italia ... di essa hanno tentato  di farsene un’arma  perfida  le cricche reazionarie italiane... “
(La questione di Trieste consisteva  nella pretesa di Tito, capo del movimento di liberazione a guida comunista in Jugoslavia di annettersi , oltre l’Istria, gran parte  del Friuli fino al Tagliamento , nota dell’UNIRR.)
La defascistizzazione era perseguita con le denuncie degli errori  del fascismo, delle atrocità dei tedeschi durante la guerra in Russia, che erano tante,, della separazione delle responsabilità sia quelle dei politici (fascisti) che quelle dei militari (popolo) , per arrivare alla distinzione fra tedeschi (nazisti) e italiani per concludere che l’alleanza italo-tedesca era stato un grave errore .
Cosi’ la prigionia, attraverso  questo processo  di defascistizzazione. era vista  come un bagno purificatore dopo la sconfitta  e gli errori, il rito  di aspirazione della passata adesione al fascismo o alla acquiescenza alle sue direttive. Era un contributo che si poteva e doveva dare per accelerare la sconfitta del fascismo.
Solo così- si legge nel Messaggio al Popolo Italiano pubblicato dall’Alba - potrete permettere il nostro ritorno in patria ed alle nostre famiglie. solo cosi ‘ potrete salvare la vostra Italia  e ridarle la propria libertà  .... sulle solide basi di una vera giustizia sociale  l’opera di ricostruzione che parlerà a tutto il popolo   italiano il benessere e la Felicita’.
Un messaggio  al Popolo italiano che era un messaggio a tutti i prigionieri, agitando  quel sogno che era nella mente di tutti i prigionieri, il rimpatrio.
Solo la sconfitta del fascismo, solo l’adesione al socialismo,la collaborazione più fattiva possibile avrebbe permesso il  rimpatrio.
E il prigionieri venivano preparati anche al rimpatrio a quello che avrebbero politicamente trovato in Italia. Sull’”L’ALBA” appaiono gli stessi temi che nelle stesse settimane il partito comunista poneva al centro della sua propaganda. E non poteva esimersi di tracciare il quadro  politico che si andava formando in Italia .
Scrive Paolo Robotti sul numero. 126 8 settembre 1945
“..... gli italiani che hanno vissuto  la catastrofe dell’ARMIR dovranno al loro ritorno , essere  i più calorosi assertori dell’amicizia  con l’URSS”...

Il 19 ottobre 1943 ”L’ALBA”  da questo quadro ancorandolo a nomi precisi  Ercoli (ovvero Togliatti), Robotti, ecc con  Sforza, Croce. questi nomi  in contropagina, in una architettura in cui da una parte le forze giovani, vive, innovatrici (Ercoli, ed il PCI) e dall’altro i fantasmi, gli  sconfitti del fascismo , che ritornano  veri e propri  “Resuscitati” dell’antifascismo” espressione di forze conservatrici destanti dalle masse (Sforza e il Partito Repubblicano, Croce e il Partito Liberale). Valutazioni svalutative anche per altri partiti. Il partito d’Azione è nominato solo una volta (agosto 1943) ed è presentato  come un aggregato di intellettuali  nell’orbita  di Sforza; la Democrazia del Lavoro, presentata in termini   riduttivi, un partito esangue; la Democrazia Cristiana   nominata solo nell’agosto del 1944, a cui toccherà la sorte del silenzio costante o bersaglio di giudizi sprezzanti.
(continua)


[1] L'intera raccolta dei numeri dell'Alba è depositata al Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Fondo “Aldo Resta”

La Prigionia Italiana in mano alla URSS. Seconda Guerra Mondiale Il Giornale "L'ALBA". Seconda Parte



Prigionia di Guerra in Unione Sovietica
Il Giornale per prigionieri in lingua italiana “”L’ALBA” 1943-1946

 I
La URSS , potenza  detentrice, nel quadro della sua azione di
indottrinamento ideologico verso i prigionieri  italiani in suo potere,
utilizzò  un giornale , appositamente  destinato ai  prigionieri
italiani, dal titolo significativo : “L’ALBA”. Dopo la lunga notte del
 fascismo,  e della guerra erroneamente combattuta  e combattuta male,
ecco, con questo giornale, nel pensiero sovietico  , una fonte di verità per
 gli italiani prigionieri .  Il perché i sovietici, ed i fuoriusciti  italiani
utilizzarono questo mezzo è ben  spiegato fin dal secondo numero de
 “L'ALBA” :"L’ “L’ALBA” era uno strumento utile affinchè i
prigionieri italiani, avessero la possibilità  di istruirsi e di comprendere
quanto avveniva nella Unione Sovietica , e di riflesso nel mondo."(1] L'intera raccolta 
dei numeri dell'Alba è depositata al Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, 
Ufficio Storico, Fondo “Aldo Resta”)
I prigionieri erano sollecitati a porsi domande: su quanto fino ad
allora era successo; perché avevano combattuto, contro chi avevano
combattuto, quali erano  realmente  gli obiettivi dell’Armata Rossa
presenta sempre come un esercito non imperialista ma di “popolo”,
di “nobili cavalieri”, ed altre domande più o meno ovvie, più o
meno imbarazzanti. L’”Alba era diretta  inizialmente da Rita Montagnana,
 e dopo i primi 4 mesi da D’Onofrio, fino al 1944 e poi da Amadesi
Robetto; la Direzione e la Redazione raccoglieva  il meglio della élites
comunista italiana in Russia. Oltre a Togliatti, vi lavoravano
direttamente ed indirettamente, Roberti, D’Onofrio, Germanetto,
 Cerreti, Grieco, Anselmo ed Andrea Marabini, Nieda Orion
(pseudonimo di Teresckenko, l’ufficiale della NKVD che controllava
tutta la redazione)  si  avvaleva  di disegnatori quali Cesare Piccoli,
Fidia Gambetti e  Vincenzo Vitello. Via via  entrarono in redazione
anche prigionieri  italiani, con collaborazioni occasionali quali Giuseppe
Lamberti, i già citati  Fidia Gambetti, Vincenzo Vitello e tutta una schiera 
di aderenti al gruppo antifascista. Il Giiornale arrivò a stampare fino a
7000 copie che sicuramente è un numero, oltre che elevato, anche eccessivo
  in relazione al numero dei potenziali  destinatari che occorre ricordarlo
non segnavano le 10/12 mila unità è e con la liberazione dei prigionieri 
in mano a alla Germania, come internati militari le 21/22mila unità.
L’Alba rappresenta quindi un punto di riferimento nel quadro della
 Prigionia  in mano alla URSS. E’ bene precisare  subito che il suo criterio
era un intento propagandistico di guerra,  oltre che ideologico.
Pretendere che fosse indipendente, libero, e al di sopra della parti è
un assurdo.
Reputiamo che sia storiograficamente inconsistente  la tesi che l’ALBA non è un giornale libero e pluralista e quindi non ha valore. Un giornale, per prigionieri di guerra, nella Unione Sovietica  degli anni di guerra, non poteva godere di libertà maggiori rispetto  a quelle riservate  ai fogli ordinariamente destinati ai cittadini della Unione Sovietica  stessa o almeno cosi’ si può correttamente supporre.


L’”L’ALBA” ha, peraltro, un valore storico in quanto ci permette  di vedere i modi  attraverso i quali  i suoi promotori  miravano a conseguire i loro obiettivi  la valutazione degli obiettivi raggiunti  e gli effetti consegnati presso  i prigionieri.
Dopo aver dato risposte a questi quesiti, vi è poi l’altro ordine di domande : quale uso sia stato fatto dell’”L’ALBA”  fra i prigionieri, quale incidenza ha esso avuto nei contrasti politici  fra i prigionieri , e le relative conseguenze. Esula invece dal nostro campo  le interazioni che “”L’ALBA”  ha sicuramente provocato nel gruppo dirigente  comunista italiano  in URSS, ovvero se all’interno di questo gruppo si sono noti contrasti  sulla linea politica da seguire, e se siamo sorte delle disparità di vedute.
 .
Infatti  è ben chiaro  che i dirigenti comunisti italiani, in URSSS non avevano da anni contatti con le masse italiane in Italia. E questi prigionieri  italiani  in loro mano erano i primi italiani  su cui si poteva  fare liberamente  politica  e propaganda. In pratica una sorta di laboratorio in attesa di rientrare  in Italia, a guerra conclusa, come poi si verificò,  ed iniziare la vera lotta politica.
”L’ALBA”  ha anche questo profilo da analizzare, ed infatti,  come vedremo nella maggioranza  delle  analisi non è altro che una prima espressione della politica  togliattiana che sarà sviluppata nel dopoguerra dal PCI.
Per i prigionieri  ”L’ALBA”, invece,  rappresentò il  ritorno, più o meno  evidente alla normalità. Riuscire a leggere un giornale  significava essere riusciti  dallo stordimento  dovuto  alla fame, alle fatiche, alle malattie ed avere ripreso un minimo  di efficienza fisica.
Secondo Giuseppe Lamberti, nel celebrare nella primavera del 1944, l’anno di vita del foglio, con ”L’ALBA”   i prigionieri avevano ricevuto “una parola di conforto  di speranza “i primi raggi di verità”, .Tramite l’Alba essi avevano appreso i grandi tratti degli avvenimenti in Italia, la crisi e la caduta del regime e lo sviluppo della guerra di liberazione. Come tutti gli articoli  apparsi sul giornale anche questo di Lamberti  deve essere ridimensionato. In realtà il foglio serviva, in primo luogo, a portare la voce degli Ufficiali, per cercare di non lasciarsi andare e mantenere un accettabile dignità. Poi rappresentava un primo collegamento con la realtà esterna, soprattutto con l’Italia, non essendoci corrispondenza  con le famiglie dalla madrepatria. Inoltre si conosceva l’andamento della guerra: la caduta della Tunisia , il tragico 1943 e tutto il resto, notizie anche di carattere politico militare che erano le uniche a disposizione del prigioniero.
Oltre  all’andamento  della guerra il prigioniero  riceveva notizie sulle istituzioni e le realizzazioni sovietiche, nonchè sulle opere, spesso in forma adulatoria, di Stalin. Per questo aspetto  si ripetono alcuni brani di quanto pubblicato  in merito in cui si evidenzia il carattere prettamente  propagandistico  delle notizie. Tratte dal Rapporto URRNI , riportano  queste notizie  le note a margine che evidenziano il citato carattere propagandistico.
Stralci di notizie riguardanti  la vita sovietica. n.12 - 25 giugno 1943”
La giovane comunista Nadesda Tuleneva di Voroscilovgrad ha imparato  la professione di muratore. Nei primi giorni  murava solo 450 mattoni , ora ne mura piu’ di 2.500 per turno. Svetlana Libo, dellla regione di Kirov, ha battuto  il record murando 2506 mattoni in cinque ore.”
n. 26 -  5 ottobre 1943 Paolo ROBOTTI “I kolkoz ed il contadino russo”
“...la collettivizzazione  fu volontaria  e dove furono commessi errori, nel senso di obbligare i contadini  ad entrare  nei kolkoz , il partito intervenne  e revoco’ le misure coercitive dei dirigenti locali.”
(la deportazione di milioni di contadini  all’epoca della collettivizzazione a cosa era dovuta? - n.d.r.)
“.... Lo stato ha dato l’aiuto  indispensabile alla collettivizzaione per rendere meno gravoso il lavoro e più alto il rendimento fornendo  483 mila trattori e 153 mila mietitrici -trebbiatrici.. Quali furono i risultati ? Se nel 1913 la terra seminata era di 105 milioni di ettari  con una produzione  granaria di 833 milioni di quintali, nel 1938  la superficie coltivata era salita a 136 milioni di ettari con una produzione di 950 milioni di quintali. Non è questa la più brillante dimostrazione della giustezza della collettivzzazione?
(Robotti non sapeva fare le divisioni : nel 1913 la resa per ettaro era di 8 quintali. Nel 1938 era solo di 7 quintali per ettaro. In Italia dove non c’era collettivizzazione la resa era di 37 quintali / ha in Lombardia e 11 quintali / ha in Italia meridionale. - n.d.r.)

Sul numero n.107 - 28 aprile 1945 Paolo ROBOTTI scrive:
“.... nel 1937 vi erano 1802 kolkoz che avevano  in banca somme superiori   ad un milione di rubli come fondo sociale........ nel 1943 - 44 i colcosiani  sovietici  hanno versato oltre 5,5 miliardi di rubli di loro spontanea  iniziativa per dare piu’ armi all’esercito ..... centinaia di migliaia  di colcosiani ricevono annualmente  oltre 400 giornate  lavorative. Migliaia  ne ricevono oltre 600. La colcosiana E. Dianova a guadagnato  774 giornate in una regione  dove l’inverno  dura sei mesi ...”

 Nell’”L’ALBA” del n. 127  15 settembre 1945 è riportato:
“... A Nisnj Tahil, l’operaio Stefan Eremenko, nel mese di agosto,  ha compiuto il lavoro dicinque mesi ......... i lavoratori  del Kusbass, il 31 agosto , hanno dato 20 mila tonnellate  di carbone  in piu’ del piano giornaliero....... il minatore  Nikifor Beliakin della miniera di Artem, (Vladivostok) che ha settant’anni il 14 settembre  ha superato la “norma” del 907%. Il minatore Pugacev delle miniere  di Irktsk ha compiuto in un giorno 10 “norme”....”

Se ”L’ALBA” deve dare notizie  di prigionieri  questo non significa  che era lo scopo primario  del Giornale. Obiettivo principale  sempre perseguito era la “defascistizzazione” dei prigionieri, nel quadro  della loro rieducazione politica, a premessa del loro assorbimento ideologico. Alcuni Brani dell’Alba  come esempi del settore della azione di propaganda  sono estremamente significativi a tale proposito
Nel n.1 10 febbraio 1943,  Articolo di fondo, si legge:
“.... oggi per la prima volta nella loro vita, decine di migliaia di operai, contadini, artigiani , impiegati , professionisti , ufficiale di carriera che si trovano prigionieri  nell’Unione Sovietica, sono messi nella condizione  di pensare liberamente  , di conoscere  la verità su un paese  che è stato loro presentando per vent’anni  sotto le luci più fosche.
“.... Così dei cittadini italiani i quali sono stati per tanti anni considerati  dei minorenni nel loro paese, trovano quindi nella prigionia  di guerra, la libertà di pensare con la propria testa e di parlare.”...
La prigionia nell’URSS apre loro una prima grande finestra  sugli immensi orizzonti della libertà. Purtroppo la realtà nell’Unione Sovietica era molto più fosca di quanto si ritenesse in occidente. La libertà di pensare  e parlare, ristretta in modo inaccettabile  in Italia sotto il fascismo, era poca cosa rispetto alla situazione in Unione Sovietica. Per i russi dire quello che pensavano, dirlo anche in privato, era un pericolo mortale. Nei diuturni contatti con la popolazione, i prigionieri  quando uscivano  a lavorare  nei campi, nelle fabbriche nei villaggi potevano constatare il terrore  viscerale di ogni individuo ed il rifiuto  di ogni conversazione su certi argomenti.
Nel numero. 22 7 settembre 1943 Articolo di fondo  “Critica e Polemica”
“... sulle rovine del fascismo  dovrà essere costruito un regime democratico... non solo di nome, ma di fatto; che non abbia paura di appoggiarsi  veramente sul popolo, di estendere e garantire  tutte le liberta’  popolari, di affidare alle masse popolari la direzione ed il controllo effettivo della vita nazionale”.
Nel numero . 115  - 23 giugno 1945 Paolo ROBOTTI
“.... la questione di Trieste  per  un certo tempo  ha mantenuto  una inutile e dannosa tensione sulle frontiere  nord-orientali d’Italia ... di essa hanno tentato  di farsene un’arma  perfida  le cricche reazionarie italiane... “
(La questione di Trieste consisteva  nella pretesa di Tito, capo del movimento di liberazione a guida comunista in Jugoslavia di annettersi , oltre l’Istria, gran parte  del Friuli fino al Tagliamento , nota dell’UNIRR.)
La defascistizzazione era perseguita con le denuncie degli errori  del fascismo, delle atrocità dei tedeschi durante la guerra in Russia, che erano tante,, della separazione delle responsabilità sia quelle dei politici (fascisti) che quelle dei militari (popolo) , per arrivare alla distinzione fra tedeschi (nazisti) e italiani per concludere che l’alleanza italo-tedesca era stato un grave errore .
Cosi’ la prigionia, attraverso  questo processo  di defascistizzazione. era vista  come un bagno purificatore dopo la sconfitta  e gli errori, il rito  di aspirazione della passata adesione al fascismo o alla acquiescenza alle sue direttive. Era un contributo che si poteva e doveva dare per accelerare la sconfitta del fascismo.
Solo così- si legge nel Messaggio al Popolo Italiano pubblicato dall’Alba - potrete permettere il nostro ritorno in patria ed alle nostre famiglie. solo cosi ‘ potrete salvare la vostra Italia  e ridarle la propria libertà  .... sulle solide basi di una vera giustizia sociale  l’opera di ricostruzione che parlerà a tutto il popolo   italiano il benessere e la Felicita’.
Un messaggio  al Popolo italiano che era un messaggio a tutti i prigionieri, agitando  quel sogno che era nella mente di tutti i prigionieri, il rimpatrio.
Solo la sconfitta del fascismo, solo l’adesione al socialismo,la collaborazione più fattiva possibile avrebbe permesso il  rimpatrio.
E il prigionieri venivano preparati anche al rimpatrio a quello che avrebbero politicamente trovato in Italia. Sull’”L’ALBA” appaiono gli stessi temi che nelle stesse settimane il partito comunista poneva al centro della sua propaganda. E non poteva esimersi di tracciare il quadro  politico che si andava formando in Italia .
Scrive Paolo Robotti sul numero. 126 8 settembre 1945
“..... gli italiani che hanno vissuto  la catastrofe dell’ARMIR dovranno al loro ritorno , essere  i più calorosi assertori dell’amicizia  con l’URSS”...

Il 19 ottobre 1943 ”L’ALBA”  da questo quadro ancorandolo a nomi precisi  Ercoli (ovvero Togliatti), Robotti, ecc con  Sforza, Croce. questi nomi  in contropagina, in una architettura in cui da una parte le forze giovani, vive, innovatrici (Ercoli, ed il PCI) e dall’altro i fantasmi, gli  sconfitti del fascismo , che ritornano  veri e propri  “Resuscitati” dell’antifascismo” espressione di forze conservatrici destanti dalle masse (Sforza e il Partito Repubblicano, Croce e il Partito Liberale). Valutazioni svalutative anche per altri partiti. Il partito d’Azione è nominato solo una volta (agosto 1943) ed è presentato  come un aggregato di intellettuali  nell’orbita  di Sforza; la Democrazia del Lavoro, presentata in termini   riduttivi, un partito esangue; la Democrazia Cristiana   nominata solo nell’agosto del 1944, a cui toccherà la sorte del silenzio costante o bersaglio di giudizi sprezzanti.
(continua nel post successivo)
 per informazioni e ricerche : prigionia@libero.it



[1] L'intera raccolta dei numeri dell'Alba è depositata al Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Fondo “Aldo Resta”

La prigionia italiana in mano alla URSS. Seconda Guerra Mondiale.


Prigionia di Guerra in Unione Sovietica
Il Giornale per prigionieri in lingua italiana “”L’ALBA” 1943-1946

II Parte
Il quadro politico in Italia era presentato sempre da uno scenario in cui operavano contrasti, socialisti e “democratici” senza alcuna specificazione, i buoni contro le forze reazionari in cui i cattolici erano ignorati; per i prigionieri cattolici si doveva prendere atto che l’unico spazio politico loro disponibile era la militanza  nelle formazioni dei cattolici  di sinistra (popolari, ...sociale) o in quelle dei cattolici  comunisti. Tutti fenomeni che prima o poi dovevano confluire   nel grande scontro per la conquista del potere in Italia.. Da qui le polemiche dell’”L’ALBA” verso il Vaticano, l’Osservatore Romano e Pio XII che confutavano il disegno togliattiano verso i cattolici.
Altri temi  proposti ai prigionieri i temi postbellici: la questione  istituzionale,  la guerra contro l’occupante  tedesco e la RSI e la punizione ai Fascisti, l’ Esercito Rosso e le sue benemerenze, ed i commenti gli avvenimenti del corso della guerra.
Qui”L’ALBA”  fa una scelta precisa .
Presenta l’Armata Rossa, armata di popolo che combatte  per il popolo, da una parte e dall’altra  gli Eserciti  Occidentali che sono espressione del capitalismo  anglo- americano con tutto quello che significa.
Tutte le più grandi vittorie delle Armate  Alleate sono presentate in modo. Riduttivo, a significare  che sono vittorie di eserciti  si, alleati, ma sempre  espressione di un mondo e di un sistema contrari al socialismo ad oppressori del popolo.
Mentre, in numeri successivi, si inneggia a tutta pagina alle Vittorie dell’Armata Rossa, quelle scenate erano  riportate sempre in poche righe e senza enfasi. Non venivano  mai riportati in ordine su fronti asiatici, dandone  carattere eurocentrico alla guerra in quanto in quei fronti asiatici non vi era la URSS.
La stessa  notizia dello sganciamento della Bomba  Atomica è riportata in tono minore, sottolineando  la caduta del Giappone come frutto della offensiva  sovietica concorrente all’azione americana.......
Ogni messaggio di Stalin era esercitato, mentre la morte di Rooswelt venne presentata in 17 righe.
Con la fine della Guerra ”L’ALBA” accentuò la sua azione propagandistica. Fondato  per politicizzare i prigionieri in senso comunista  e destinato ai prigionieri visti come veicoli “socialisti” al loro rimpatrio, questa azione non poteva terminare con la fine della guerra.
Infatti per tutto il 1946 ”L’ALBA” riporta i temi della lotta politica in Italia, in cui tutto ruota attorno al problema  del Rimpatrio. Ai prigionieri  viene presentato il dilemma se in Italia avrebbero prevalso le forze di sinistra il rimpatrio ci sarà altrimenti .... la guerra continua.
Il 15febbraio 1946 in questa ottica l’Alba arriva a scrivere  che l’Italia è un rifugio di fascisti  e  antifascisti rinnegati, affermazione che indirettamente  stava a significare un rimpatrio  quanto mai aleatorio.
L’ultimo numero  de ”L’ALBA”  il 15 maggio 1946, in questo senso e significativo.Riporta le nuove riflessioni  di Ugo Zatterin  pubblicate dal giornale socialista l’AVANTI sul morale dei reduci, il cui titolo era quanto mai indicativo: “E’ difficile ritornare” Per i Prigionieri  non era un leggere entusiasmante. Del resto, per L’URSS, rimpatriare masse di prigionieri, in vista di un voto, significava fornire elementi alla parte avversa.
”L’ALBA”, in modo sorprendente,  anticipò  nei mesi seguenti già dall’aprile 1945, ed è molto significativo, i temi e i toni  dell’incipiente “Guerra fredda” che si sarebbero  sviluppati nel dal 1946 e negli anni seguenti.

Interessante al riguardo riportare alcuni scritti  dei prigionieri  per comprendere il tenore e i contenuti  della collaborazione all’”L’ALBA”

Quello che scrivono i prigionieri
”L’ALBA” n.11 - 15 giugno 1943  Sottotenente  Antonio MASTROPASQUA
“... Forse noi non vedremo sulla faccia  della terra un popolo  più florido  del russo ... Compagni prigionieri  , la nostra permanenza  in questa terra  è stata e sarà  maggiormente una rivelazione .... Quando avremo capito  e visto tutto, sara’ come aver avuto il dono di altri due occhi e di un altro cervello....”
”L’ALBA” n. 15 20 luglio 1943 Soldato F:FERRERI
“..... Adesso basta. E’ ora di risolvere questo problema con una giusta soluzione: levarsi la benda dagli occhi liberarsi le gambe dalle catene che ci hanno impedito  ogni passo verso la libertà di vita e di pensiero.....”
”L’ALBA” n. 16 27 luglio  1943 Sottotenente Angelo MOLINARI
“..... Nell’Unione Sovietica  esiste uguaglianza e libertà e  non schiavitù come si era tentato di farci credere. Ma noi  abbiamo aperto gli occhi alla verità . Da due anni che ci troviamo in >Russia ci è apparsa la grandezza di questo popolo ed abbiamo capito che le radici di questa grandezza stanno nella libertà e nell’uguaglianza che si respirano nell’aria”.
”L’ALBA” n. 21  31 agosto  1943 Sottotenente Pasquale CARVELLI
“.... Il regime fascista  assoluto, autoritario, accentratore di tutte le energie nazionali in dottrina ed in pratica, si era dimostrato retrogrado......
“.....Con il distruggere  la libertà di stampa,  di parola di associazione, il fascismo soffocava e reprimeva come reato tutte le manifestazioni  di libera parola e di critica costruttiva. Ogni tentativo di critica  e di opposizione era considerato disfattismo e con mezzi illeciti e delittuosi veniva comunque schiacciato.....”.
”L’ALBA” n. 2 febbraio 1943 Sottotenente Egidio ZANGRANDE
“....credevo di trovare in Russia una popolazione infelice, oppressa , invece ho visto il  contrario. Gente  felice, contenta, bene  organizzata  nelle campagne, nelle citta’, nelle magnifiche  ed ultramoderne  industrie.... che differenza con quello che possiamo vedere in Italia!”
”L’ALBA” n. 16 27 luglio 1943 Artigliere  Angelo COLOMBO
“... molti soldati  in Italia oggi non stanno  cosi’ bene come noi, in questo bellissimo  bosco di pini con un trattamento davvero eccezionale  per un prigioniero..... in quale caserma italiana, anche in periodo normale, viene distribuita una razione di burro, lardo e zucchero  giornaliera, tre abbondanti ranci  ed altri viveri di conforto?”..
(Falsità grossolane . Nel luglio del 43 in nessun lager  sovietico si viveva in quel modo. Chi scrive probabilmente faceva l’informatore e solo lui e qualche altro erano trattati  cosi’.... Avrebbe dovuto dare ai lettori l’indirizzo di quel campo: le richieste di trasferimento sarebbero state 10.000......Nota dell’UNIRR)
”L’ALBA” n. 19 17 agosto 1943 Sergente Maggiore  CAOVILLA
“....La voce  nella baracca  che canta, ci mostra lo stato d’animo dei camerati che, passato  il momento  dell’incertezza  dei primi mesi di prigionia (la chiama incertezza! - n.d.r.)  gustano  ora le comodità create  per noi dal governo del popolo russo. ... rispondiamo  alle amorevoli cure delle autorità astenendoci  dal sollevare  lamentele assurde ... la figura  immobile della  sentinella pare essere la, non per controllare i nostri movimenti  ma per protegger e difendere dall’altro della garitta, il nostro sonno....”
(Questa che le sentinelle con i mitra spianati proteggeessero il sonno dei prigionieri dall’altro delle loro torri- garitte  non si era mai sentita –Nota dell’UNIRR)
”L’ALBA” n. 25 - 28 settembre  1943 Artigliere  Giovanni BERARDI
“..... sono prigioniero  dei russi e sono soddisfatto  del loro comportamento  verso di me; mi danno  più da mangiare che quando era soldato  in Italia...”
(un altro che il commissario politico  aveva imbucato in cucina – Nota dell’UNIRR)
”L’ALBA” n. 35 - dicembre 1943 - Sergente BELTRAME
“.... abbiamo dei posti letto  veramente comodi  e confortevoli , con pagliericcio, cuscino, coperta e lenzuolo. Di cio’ dobbiamo ringraziare le autorita’ sovietiche...”
”L’ALBA” n. 26 - 14 dicembre 1943 - Soldato Cleto MARINO
(racconta che in Italia faceva il venditore  ambulante di generi alimentari nei mercati – Nota dell’UNIRR)
“....Certo  è che io trovandomi prigioniero in questo libero paese dove non si sa cos’e’ lo sfruttamento, mangio e fumo  di piu’ di quanto possa farlo  un venditore ambulante in Italia....”
”L’ALBA” n. 34 - 30 novembre 1943 - Tenente S.GIULIANO (magistrato)
“.... il principio democratico  ha trovato nell’URSS la piu’ integrale  e conseguente  attuazione.”
”L’ALBA” n. 67 - 23 luglio 1944 - Maggiore in Spe Walter BERARDI
“....l’esercito nuovo ha bisogno  di uomini nuovi, dalla coscienza  profonda e sicura e dalla volontà di fare realmente gli interessi del popolo. Capi, quindi, fedeli , devoti, sicuri.
Bisogna  perciò sviluppare l’educazione politica dei soldati e degli ufficiali - portando  un’attenzione particolare a quest’ultimi - dovendo far di loro al più presto dei buoni educatori  dei propri soldati. Anzi, al riguardo,  non sarebbe certo inutile, per un certo tempo, di avvalersi di appositi istruttori politici, scelti tra coloro che abbiano  potuto occuparsi  seriamente  ed obiettivamente di questioni politiche  nazionali ed internazionali e che siano particolarmente  adatti a svolgere  una intensa opera di agitazione e di educazione presso i reparti  del nuovo esercito  italiano ....”.
(Una chiara proposta per l’istituzione dei commissari  politici  nel futuro  esercito  italiano – Nota dell’UNIRR)
”L’ALBA” n. 24  21 settembre 1944 - Soldato  L.AVVENTO - “Le barberie dei tedeschi”
“.... Mi trovavo in marcia verso il fronte  ed abbiamo  incontrato  una colonna di prigionieri  russi che andavano  nelle retrovie. Un soldato  russo che si è allontanato  dalle file  per prendere  un po’  di pane offertogli da una donna,  venne ucciso da un tedesco  con un colpo di pistola, che in piu’ bastono’ lo donna ....”
”L’ALBA” n. 30  2 novembre  1943 - Sergente Attilio BELTRAME
“.... Ho frequentato  a Treviso  le scuole magistrali e credevo di essere molto intelligente, ma mi accorgo ora,  parlando  con gli istruttori italiani che vengono nel campo, di essere ben  lontano  dal possedere la vera scienza. Ora sto  imparando molte cose  da questi lavoratori  che furono perseguitati  dal fascismo  e che hanno imparato  un mucchio di cose nel regime di libertà e di progresso  che esiste  nell’Unione Sovietica.... Mi accorgo  di avere  sprecato  sui libri  della scuola fascista , tanti anni,  tante energie  e tanto denaro. Ringrazio i miei veri  maestri,  cioè gli istruttori  italiani che vengono nei campi e prometto di essere un loro degno seguace.”
”L’ALBA” n. 16 - 27 luglio - Caporale  Gino DANILE
“.....Mussolini lo sa che una parte dei soldati educati dal fascismo sono completamente  o quali analfabeti? Tutta colpa di Mussolini e dei suoi  gerarchi che cercano di arricchirsi e comandare tenendo   il popolo nell’ignoranza. Ma ecco che l’Unione Sovietica ci viene in aiuto  e a noi prigionieri  concede cose che il fascismo  non avrebbe mai fatto. L’Unione Sovietica ci aiuta  a combattere l’analfabetismo”..



venerdì 18 gennaio 2013

Prigioni Austriaci a Roma. I Guerra Mondiale

Un interessante testimonianza dell'impiego dei Prigionieri di Guerra in lavori pubblici è dato da una fotografia posta alla Stazione Metro di Eur Magliana a Roma. Insieme ad altre due quadri, che testimoniano i lavori della costruzione della Metro per Ostia, è riportata una fotografia in cui si possono vedere "operai" in divisa militare. La didascalia, dal titolo "Gallerie scavate a mano" spiega che questi operai non erano altro che prigionieri austriaci impiegati nei lavori di sterro.
 La data è il 1917.





L'Entrata della Stazione Metro di Eur Magliana. Sottopassaggio per raggiungere le pensiline per Ostia o per la Stazione Termini

per informazioni: ricerca23@libero.it                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                

martedì 8 gennaio 2013

Tirana Presentazione volume Albania


KUMTESË
Mbajtur në prezantimin e librit:
“Qëndresa e ushtarakëve italianë në Shqipëri” i autorit
Gjeneral Massimo COLTRINARI

datën 02.11.2011, në ceremoninë e promovimit të librit, të organizuar nga LBN Editor dhe Ambasada Italiane në mjediset e Komandës së Doktrinës dhe Stërvitjes, Tirana, Shqipëri.




Libri i gjeneral Massimo COLTRINARI “Qëndresa e ushtarakëve italianë në Shqipëri”, është botuar për herë të parë në Itali në vitin 2000. Ai vjen për lexuesin shqiptar gjashtë vjet pas botimit të librit “Ushtarakët Shqiptarë në Forcat e Armatosura Italiane, 1939-1943” të një tjetër autori italian zotit Piero Crociani.  
Në aspekte të pjesshme, libri i zotit Coltrinari ishte i njohur prej nesh, por i plotë dhe i përkthyer në shqip ai vjen për herë të parë sot në duart tona nëpërmjet “LBN Editor” me përkthimin e Zotit Guri PASHAJ, Kolonel në rezervë.
Libri ka një natyrë historiko-ushtarake dhe përbën volumin e nëntë në serinë e librave mbi “Rezistencën e ushtarakëve italianë”, që pas armëpushimit më 8 shtator 1943, i cili realizohet nga një Komision i veçantë studimor i Ministrisë së Mbrojtjes Italiane.
Në këtë libër autori përqëndrohet në zhvillimet ushtarake italiane në Shqipërinë e Luftës së Dytë Botërore. Në një vëllim prej më se 1000 faqesh ai e ka ndarë veprën e tij në shtatë kapituj, duke filluar nga historia dhe konfigurimi gjeografik i Shqipërisë nga lashtësia, Lufta e Parë Botërore, misioni Telini, marrëdhëniet dhe zhvillimet politike ndërmjet Italisë dhe Shqipërisë e deri në Bashkimin e Mbretërisë Shqiptare me Unionin Personal nën Viktor Emanuelin III. Sigurisht që pjesën kryesore në këtë vepër e zenë ngjarjet ushtarake të viteve 1943-1944, ku pasqyrohet situata e ushtrisë italiane, rezistenca e tyre ndaj kundërshtarit të ri, bashkëpunimi me forcat shqiptare si edhe fati i tyre pas përfundimit të Luftës së Dytë Botërore.
Duke shfrytëzuar me mjeshtëri burimet arkivore të botuara dhe të pabotuara, raportet dhe relacionet ushtarake si italiane ashtu edhe të huaja por, duke u mbështetur edhe në deponimet e ushtarakëve italianë të mbijetuar, si edhe në literaturën e shumtë të shkruar, autori arrin të na japë sot një tabllo të qartë të situatës që kaluan trupat italiane në Shqipëri, sidomos pas kapitullimit të datës 8 shtator 1943, që përkon edhe me daljen e Italisë nga Boshti Qendror.
Më lejoni të jap disa konsiderata mbi këto ngjarje si dhe trajtimin e tyre nga autori:
Gjatë luftës, në Shqipëri ishte përqendruar Armata IX italiane  me rreth 118 mijë trupa nën Komandën e Gjeneral Kolonelit Lorenzzo Dalmazzo. Po ashtu, në Tiranë ndodhej edhe Komanda e Gruparmatës së Lindjes, që kishte nën Komandë gjithë forcat e dislokuara në Malin e Zi, Shqipëri dhe Greqi nën komandën e Gjeneral Kolonelit Enzio Rosi.
Data 8 shtator i gjeti komandat ushtarake italiane duke kryer detyrat e tyre të zakonshme. Rreth ores 18.00 nëpërmjet radios u transmetua lajmi i firmosjes së armëpushimit ndërmjet Italisë dhe Britanisë së Madhe, Shteteve të Bashkuara të Amerikës dhe Bashkimit Sovjetik. Në një terr të plotë informativ dhe duke mos pasur mundësi komunikimi me Romën pasojnë urdhëra dhe vendime kontradiktore, të cilat do të diktojnë zhvillimet dhe fatin e ushtarëve italianë në Shqipëri.
Pra, Italia kapitulloi, qeveria e Badoglios kishte firmosur armëpushimin dhe shumë ushtarë italianë filluan të festonin, duke besuar se ky ishte fillimi i paqes, fundi i luftës dhe tashmë duhej të prisnin vetëm urdhërin për t’u kthyer në atdhe. Situatën e krijuar e përshkruan më së miri Komandanti italian i aerodromit të Shijakut, i cili u drejtohet ushtarëve të tij: “(...) Më duket se shumica juaj nuk e kupton atë që është duke ndodhur. (...) Nuk është lajm i paqes por lajm i luftës, sepse për Italinë lufta e vërtetë fillon tani. Pushoni këtë marrëzi dhe kthehuni shpejt në detyrat tuaja”[1] 
Prej muajit korrik 1943 Komanda e Lartë e Wehrmacht-it gjerman kishte planëzuar pushtimin e Shqipërisë nëse Italia do të dilte nga Aleanca. Gjermanët nuk mund të injoronin faktin që përtej ngushticës së Otrantos tashmë ndodheshin trupat e aleatëve anglo-amerikanë me kërcënimin real të tyre.
Për pasojë, Komanda gjermane, me qendër në Beograd urdhëroi kapjen me shpejtësi të bregdetit shqiptar. Motivet e pushtimit të shpejtë të hapësirës shqiptare nga Wehrmacht-i gjerman, në dokumentet arkivore italiane të shfrytëzuara nga autori janë dy:
Së pari duhej të kapeshin sa me shpejt brigjet Jonike shqiptare dhe greke nga frika e zbarkimit te forcave aleate anglo-amerikane dhe, së dyti, nëse ndodhte kjo gjë,  gjithë forcat italiane në Shqipëri mund të viheshin nën urdhrat e forcave aleate duke u kthyer në këtë mënyrë në një forcë kundërshtare të rrezikshme për gjermanët.
Në këtë kuadër është me vlerë të japim një vlerësim që Komanda Ndërlidhëse e Wehrmacht-it në Tiranë bënte për ushtrinë italiane në Shqipëri, më 1 gusht 1943, nënshkruar nga Gjeneral Majori Bessell. Ky informacion ishte i nevojshëm, me qëllim që trupat gjermane të njiheshin me forcën dhe moralin e ushtrisë italiane, sepse, një konfrontim ushtarak ndërmjet dy ish-aleatëve nuk mund të ishte fare i pamendueshëm! Ndër të tjera në këtë raport, i cili gjendet në Arkivin e Forcave të Armatosura Shqiptare shkruhet: “(...) Ushtari italian është i bindur, besnik dhe po ashtu trim, për aq kohë sa ai ndjen se është duke u drejtuar mirë. (...) Ai është besnik dhe krenar ndaj flamurit të tij, sidomos nëse ai ndjen se është duke u vëzhguar. Nën drejtimin gjerman dhe duke luftuar përkrah ushtarëve gjermanë  ai nuk do të ishte më pak i gatshëm dhe më pak trim se këta të fundit. (...) Atje ku një batalion italian lufton përkrah një batalioni gjerman, cdo ushtar italian do të ndihej i turpëruar nëse do të tregohej më pak trim se ushtari gjerman përkrah tij (...).[2]
Ajo çka e mundonte Gjeneral Kolonel Rosin në këtë situatë ishte sigurimi i largimit të forcave të tij në drejtim të Italisë. Për këtë ai urdhërohet me radio nga Komanda Supreme të përqëndronte trupat e tij në mënyrë të përshtatshme në bregdet, duke garantuar në çdo rast zotërimin dhe kontrollin e porteve kryesore dhe sidomos, në veçanti portin e Durrësit dhe Kotorrit. Kjo gjë duhej të negociohej me gjermanët, të cilët tashmë vepronin në mënyrë të orientuar dhe të vendosur.
Autori i librit, duke u bazuar në raportet dhe realicionet ushtarake gjermane dhe italiane zbërthen ne detaje veprimet e instancave ushtarake italiane, kryesisht të gjeneralëve Rosi dhe Dalmazzo. Nuk mungon dhe qëndrimi kritik ndaj vendimeve të marra prej tyre. Për këtë ai shkruan: “Ngjarjet me ushtarët tanë në Shqipëri, gjatë dhe pas armëpushimit të shtatorit 1943, shkuan drejt përfundimit, pjesërisht të hidhur, me pak episode pozitive dhe shumë më tepër negative (...). Qëndrimi i komandantëve tanë në tokën shqiptare, gjatë dhe pas krizës së armëpushimit, është për shumë arsye i censuruar dhe i kritikuar, por nuk është e justifikueshme harresa në të cilën janë lënë zhvillimet dhe ngjarjet shqiptare të periudhës së post-armëpushimit”.[3]
Akti i firmosjes së marrëveshjes për çarmatimin e gjithë trupave Italiane në Shqipëri, Malin e Zi dhe Greqi, nga Rosi, duke marrë përkundrejt urdhrit të çarmatosjes të lëshuar prej tij garancinë e riatdhesimit të trupave italiane do të shënonte edhe fatin e keq dhe fillimin e peripecive për këto trupa, sepse gjermanët nuk do t’i përmbaheshin marrëveshjes.
Menjëherë pas firmosjes së saj Rosi u arrestua nga gjermanët dhe u nis si rob lufte në Beograd. Pasi Dalmazzo, Komandanti i Armatës IX, kundërshtoi të marrë postin e Rosit, po ashtu edhe ai u arrestua dhe, së bashku me Armatën e tij, u deklaruan nga gjermanët robër lufte.
Pas këtij veprim, në Tiranë e kudo, u veprua me shpejtësi në çarmatosjen dhe dërgimin e ushtarakëve italianë drejt Manastirit (Bitolaj) nga ku, nëpërmjet formave mashtruese,  gjoja për ti kthyer në atdhe, i dërgonin në kampet e përqëndrimit dhe në frontin e Lindjes nga ku, shumë prej tyre, nuk u kthyen më.
Në një kapitull të veçantë trajtohet rezistenca e ushtarakëve italianë në Shqipëri, ku hidhet dritë mbi fakte e ngjarje të shumëllojshme. Në këtë pikëpamje trajtohet  edhe shkrirja e rreth 25.000 trupave italiane me popullsinë vendase, duke gjetur strehë te familjet fshatare shqiptare. E parë në përgjithësi, për sa i përket qëndrimit të popullsisë shqiptare për të shpëtuar jetën e këtyre njerëzve, deri dje pushtues, vlerësimet janë tepër pozitive. Në libër përshkruhen episode nga më të çuditshmet për bujarinë, kurajon dhe zemërgjerësinë e shqiptarve.
Nga gjithë këta ushtarë italianë, rreth 5.000 prej tyre ishin të armatosur. Ngjarjet operative në muajt pasues do të bënin seleksionimin e këtyre njerëzve, duke sqaruar shumë mirë qëllimet dhe detyrat që ata do të kryenin. Nga këta 5.000 vetë të armatosur që ishin prezent në shtator 1943, vetëm gjysma e tyre do të vazhdonin luftën partizane kundër gjermanëve gjatë vitit 1944.
Ky fakt është deformuar disi në historiografinë italiane të pas luftës. U krijua idea, që gjithë këta ushtarë dhe oficerë italianë luftuan të inkuadruar në batalionin “Antonio Gramsci”, si një formacion i pastër i armatosur italian, i cili luftonte për krijimin e një shteti komunist. Autori e analizon këtë fenomen dhe arrin qartë në përfundimin se ky është një keqinterpretim, duke e shpjeguar atë me dominimin komunist në udhëheqjen e luftës partizane në Shqipëri. Vetë fakti që, batalioni “Gramsci” u shkatërrua dhe u ringrit tri herë, vetëm nga dëshira shqiptare, duke mos e kaluar asnjëherë numrin e 500-700 ushtarëve[4] e shpjegon këtë gjë. Duhet theksuar që, rreth 2000 italianë të tjerë të inkuadruar nën Komandën Italiane të Trupave  të Malit luftonin brenda radhëve të njësive partizane, pavarësisht nga bindjet e tyre ideologjike.
Vetëm në fund të luftës, pra në momentin e riatdhesimit të këtyre trupave italiane, në batalionin “Gramsci” u grupuan gjithë forcat italiane duke u shndërruar nga Batalion, fillimisht në Brigadë e më pas në Divizion. Ky ndryshim u bë nga pala shqiptare, me qëllim ideologjizimin e pjesëmarrjes italiane në luftën Nacionalçlirimtare. Për ushtarakët italianë ideologjia dhe karakteri i luftës në Shqipëri nuk ishte i rëndësishëm. Sigurisht në plan të parë kalonte lufta kundër gjermanëve, për të krijuar një Evropë më të mirë dhe të çliruar nga çdo diktaturë, por edhe për të hedhur pas krahëve një të kaluar jo të lavdishme. Lufta e tyre nuk mund të ideologjizohet edhe për faktin që pas lufte dikush u bë komunist, dikush republikan e dikush tjetër monarkist.
Arsyet e mosveprimit të gjeneralitetit italian në Shqipëri dhe nënshtrimin e tyre ndaj kërkesave të gjermanëve, duke filluar prej lëshimit të porteve kryesore shqiptare, urdhërit për të mos hapur zjarr ndaj gjermanëve në raste provokuese - - ç’ka në fakt ka ndodhur - e deri në urdhrin përfundimtar të Gjeneralit Rosi për të dorëzuar armët, autori, e shpjegon edhe me faktin që, për gjithë këto grada madhore, të cilët pothuajse të gjithë kishin kaluar në filtrat dhe veshjet diskriminuese të fashizmit ishte tepër e vështirë që brenda një kohe shumë të shkurtër në mënyrë radikale të kalonin në anën tjetër të barrikadës dhe të  kthenin armët kundër gjermanëve por edhe kundër fashistëve, me të cilët për vite të tëra kishin bashkëpunuar.
Autori arsyeton që, ky mosorientim dhe mosveprim i komandantëve italianë në këtë situatë të vështirë, e gërshetuar me aftësitë, dinakërinë e shfaqur nga gjermanët dhe vlerat e tyre ushtarake, por edhe si pasojë e miopisë operativo-strategjike të Aleatëve do të kishte pasoja fatale për trupat italiane të lëna në mëshirë të fatit në Shqipëri. Përvoja historike e pas 8 shtatorit 1943 tregoi se atje ku njësitë italiane u drejtuan mirë dhe me vendosmëri si në rastin e divizioneve “Perugia”, “Brennero” dhe “Firenze” u zbatuan urdhrat dhe u plotësuan detyrat e ngarkuara operative. Nëse forcat aleate do të kishin ndërhyrë në këtë moment kritik duke zbarkuar në Shqipëri dhe duke i koordinuar veprimet e tyre me trupat italiane, pavarësisht se historia nuk mund të shkruhet mbi hipoteza, edhe historia e Shqipërisë e pas luftës mund të kishte pasur tjetër rrjedhë!         
Së fundmi mund të thuhet se ky libër përmban dhe mbart jo vetëm vlera historike të shumta referuese për studiuesit e historisë ushtarake por në të njëjtën kohë i shërben shumë edhe marrëdhënieve midis dy vendeve. “Kush nuk njeh të shkuarën - shkruan publicisti i njohur Italian i shekullit XX Indro Montanelli - nuk mund të ketë te ardhme”.
Kontributi i Gjeneral Coltrinari si autor i këtij libri i afron gjithmonë e më shumë flamujt e të dy vendeve.  





[1] Massimo COLTRINARI: Qëndresa e ushtarakëve italianë në  Shqipëri, LBN Editor, Tiranë 2011, f. 197.
[2] AQFA, Fondi i Komandës Gjermane 1943-1944, Dosja 7, viti 1943, f. 37-42.  
[3] COLTRINARI, f. 1003.
[4] Nëse ballafaqojmë këto shifra të autorit me të dhënat e historisë shqiptare vemë re se ato nuk korrespondojnë me njëra tjetrën. Historiografia shqiptare jep pwr batalionin italian „Gramsci“ një numër prej 137-150 ushtarësh. Madje, në historikun e Brigadës së Parë Sulmuese janë të rreshtuar edhe emrat e ushtarakëve italainë të këtij batalioni.