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venerdì 31 marzo 2023

Caserta 1995. La Prigionia e l'Internamento

 

IL CONTRIBUTO DEI PRIGIONIERI E DEI COOPERATORI ALLA GUERRA DI LIBERAZIONE

 

MASSIMO COLTRINARI

 

 

LE FONTI

 

Il tema affidatomi per questo contributo necessita, prima di essere affrontato, di una seppur sommaria indicazione delle fonti utilizzate.

Primariamente sono state utilizzate le fonti personali, diaristiche e le relazioni stilate al momento del rientro in Italia dei prigionieri e degli internati. La maggior parte di questa documentazione è raccolta presso l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito.[1]

Materiale utilizzato è stato anche quello raccolto dalla Commissione per la Resistenza dei Militari Italiani all'Estero, istituita nel 1989 dal Ministero della Difesa al fine di documentare le vicende dei militari italiani all'estero dopo l'8 settembre.[2]

Per le fonti edite, i vari volumi che trattano dei prigionieri, dei cooperatori e degli internati che affluirono nelle formazioni regolari danno in linea generale una indicazione o sommaria o complementare.

In ogni caso, come eccezione, ritengo di dover segnalare il testo base che ho utilizzato, ovvero la “Relazione sulla attività svolta per il rimpatrio dei prigionieri di guerra ed internati 1944-1947” edita nel 1947 dal Ministero della Guerra - Ufficio Autonomo Reduci da Prigionia di Guerra e Rimpatriati.[3] L'utilizzo di questa pubblicazione , poi, ha avuto un risvolto che ritengo utile segnalare per un eventuale approfondimento in quanto la Rivista dell'Associazione che organizza questo convegno ha iniziato dal numero di marzo a pubblicare, a mia cura, i tratti salienti della citata relazione con un approccio non riferito solo ai Gruppi di Combattimento, ma globale, indicandone tutti i vari aspetti sia quantitativi che qualitativi delle vicende dei prigionieri , dei collaboratori e degli internati.

Ritengo quindi utile rinviare anche a quegli articoli al fine di avere un quadro generale di situazione.[4]

 

IL QUADRO TEMPORALE DEL CONTRIBUTO DEI PRIGIONIERI E DEI COLLABORATORI ALLA GUERRA DI LIBERAZIONE

 

È necessario indicare il quadro temporale del contributo dei prigionieri e dei collaboratori alla guerra di liberazione in quanto le vicende che vanno dal 1939 al 1945 sono così variegate che potrebbero generarsi delle sovrapposizioni se non si fissano bene i limiti della trattazione.

La guerra di liberazione, come noto, ha avuto inizio in via informale con le vicende armistiziali del settembre 1943 ed in via formale il 13 ottobre 1943. La guerra contro la Germania, dichiarata dal Governo italiano presieduto dal Maresciallo Badoglio su nomina di Vittorio Emanuele III, aveva lo scopo di liberare l’Italia, in collaborazione con gli Alleati, dalla occupazione germanica. Non si entra qui in tutti gli aspetti di questo assunto: rimane il dato di riferimento.  Pertanto un eventuale contributo poteva essere dato dai prigionieri e dai cooperatori solo nell'arco di tempo che va dall'ottobre 1943 all'aprile 1945.

In questo arco di tempo le Forze Armate italiane subirono una lenta e quanto mai travagliata evoluzione. Dopo lo sfacelo del settembre 1943, i reparti che mantennero in Corsica, in Sardegna, ed in generale nelle province meridionali la loro configurazione organica, furono l'ossatura delle rinate Forze Armate italiane. Da questi reparti ebbe inizio la ricostruzione che ha avuto la seguente scansione:

-        ottobre-dicembre 1943: costituzione del Raggruppamento Motorizzato, che ebbe il suo battesimo del fuoco a Montelungo nel dicembre 1943;

-        gennaio-settembre 1944: la costituzione del Corpo Italiano di Liberazione, che combatté prima in Campania, poi nell'Abruzzo e indi nelle Marche, ove la battaglia di Filottrano è il momento più esaltante;

-        ottobre 1944 - aprile 1945: costituzione ed impiego dei Gruppi di Combattimento.

Questo per le forze di terra.

Per l'Aeronautica si ha la collaborazione con le forze aeree alleate, e con la costituzione della Balkan Air Forze la Regia Aeronautica partecipava al sostegno della guerra in Jugoslavia ed in Albania.

La Marina venne impiegata con il suo naviglio sottile, mentre con il Reggimento San Marco partecipava alle operazioni terrestri.

Accanto alle forze combattenti vi erano da una parte le forze che diedero vita alla riorganizzazione territoriale militare e a quella per l'ordine pubblico e dall'altra quelle che parteciparono allo sforzo logistico delle unità alleate.[5]

In base agli accordi tra le autorità militari alleate ed il Governo italiano fu nelle unità combattenti ed in quelle logistiche e territoriali che i prigionieri e i cooperatori ebbero modo di dare il loro contributo alla guerra di liberazione.

Prima di individuare l'entità di questo contributo ritengo utile dare un seppur sommario quadro generale della situazione dei prigionieri e dei collaboratori italiani nella seconda metà del 1943 ed i successivi sviluppi nel 1944.

 

 

LA SITUAZIONE DEI PRIGIONIERI E COOPERATORI NEL 1943 E NEL 1944

 

Fino all'armistizio dell'8 settembre 1943 non vi era altra categoria che quella dei prigionieri di guerra. Il totale dei prigionieri di guerra, cioè personale militare italiano catturato in operazioni belliche, ammontava a 591000 uomini.

A questo, per inciso, si devono aggiungere per il periodo susseguente l'armistizio, cioè settembre - ottobre 1943, gli internati, che ammontavano a 765000 unità. Io non tratterò degli internati, ma solo dei prigionieri. Si è detto che essi ammontavano a 591000.[6]

Non erano tutti in mano ad un solo Paese, come ovvio, ma a seconda dei fronti di impiego erano in mano alla Gran Bretagna, agli Stati Uniti ed alla Russia. Quindi si hanno tre blocchi di prigionieri: quelli in mano inglese, quelli in mano statunitense e quelli in mano russa. In più vi erano quei prigionieri che gli Stati Uniti cedettero alla Francia di de Gaulle.

La relazione citata ci fornisce i numeri di questa sottodivisione.[7]

In mano della Gran Bretagna abbiamo 408000 militari italiani, che erano tenuti non solo in Gran Bretagna, ma anche in tutti i paesi dell’Impero Britannico secondo questa suddivisione:

-        Gran Bretagna                                             158000

-        Gibilterra                                                            500

-        Nord Africa (Algeria)                                   41500

-        A.O.I., Kenia e Tanganica                            41000

-        Nigeria, Sierra Leone, Costa d'Oro              1500

-        Rodesia e Sud Africa                                   43000

-        Libia, Egitto e Palestina                              58000

-        Iran ed Irak                                                      2000

-         India e Ceylon                                             35000

-         Australia                                                      17500

 

In mano americana vi erano 125000 prigionieri secondo questa suddivisione:

-        Negli Stati Uniti                                          50000

-        Nelle Hawaii                                                   1000

-        In Algeria                                                       10000

-        In Italia, e poi in Francia                                1000

In mano sovietica, a seguito della ritirata del dicembre 1942 e gennaio 1943, secondo le stime italiane la cifra dei prigionieri italiani, avrebbe dovuto aggirarsi da un minimo di 60000 ad un massimo di 80000. Il governo sovietico comunicò che in sua mano vi erano 20000 italiani prigionieri.  Quelli che effettivamente rimpatriarono furono 12500.

Nel dopoguerra vi furono, come noto, polemiche roventi sui prigionieri italiani in Russia.[8] Oggi con la caduta del muro di Berlino vi è la possibilità di accedere agli archivi sovietici e di avere ulteriori elementi su questo aspetto.

Un cenno agli italiani in mano ai francesi. Questa è una triste vicenda che spesso è sconosciuta che fa il complemento con il comportamento del Corpo di Spedizione Francese in Italia. In mano delle forze gaulliste vi erano circa 37500 militari italiani tutti in Algeria.[9]

Dato il quadro generale dei prigionieri in mano delle Nazioni Unite, ai nostri fini, occorre rilevare che il personale militare caduto prigioniero negli anni 1941 e 1942 era per la quasi totalità in mano inglese e fu portato in tutte le parti dell'Impero come visto.

Scambi di prigionieri guerra durante si ebbero tra l'Italia e la Gran Bretagna ma si trattava per lo più di ammalati e feriti gravi, pertanto ai nostri fini ciò ha solo valore indicativo.

In linea di massima si può già dire che ebbero modo di dare il loro contributo alla guerra di liberazione coloro che ebbero la sventura di cadere prigionieri nelle operazioni condotte nel 1943 ovvero negli ultimi mesi della campagna in Africa Settentrionale e nella Campagna di Sicilia.[10]

 

 

LE STRUTTURE E GLI ORGANI PREPOSTI ALL'ACCOGLIMENTO DEI PRIGIONIERI

 

Superati fra mille difficoltà i giorni post-armistiziali e stabilitosi nei suoi vari organi il Governo del Re nelle Puglie, si pose il problema, tra i molti sul tappeto, del rimpatrio dei prigionieri italiani.

Infatti non vi era più ragione, ora che l'armistizio era stato firmato, che gli Alleati tenessero degli italiani prigionieri. Questo è un assunto che ebbe piena applicazione solo dopo il 1945, ma che si pose già alla fine del 1943.

Il Governo Italiano istituì per affrontare il problema dei prigionieri i seguenti organi:

-        l'Alto Commissariato per i Prigionieri di Guerra, con regio decreto legge 6 Aprile 1944;

-        l'Alto Commissariato per l'assistenza dei profughi di Guerra, con regio decreto legge 29 maggio 1944.

Verso la fine del 1944 fu istituito l'Ufficio Autonomo Reduci da Prigionia di Guerra e Rimpatriati (Decreto Ministeriale in data 9 novembre 1944 n. 1300), avente lo scopo di occuparsi delle questioni attinenti il ricevimento, il trattamento , e il successivo smistamento dei reduci dalla prigionia  e da  internamento  all'atto  del  loro  rimpatrio  sino  al  loro  invio alla località di origine o alle unità militari di reimpiego , se il prigioniero o il rimpatriato era ancora soggetto agli obblighi militari.

Nel 1945 fu istituito il Ministero della Assistenza Post-Bellica (decreto legge 21 giugno 1945 n. 380 e 31 luglio 1945 n. 425), che assorbiva le attribuzioni degli Alti Commissariati istituiti nel 1944.

 

 

L'ATTIV1TÀ DELL'UFFICIO AUTONOMO REDUCI DA PRIGIONIA DI GUERRA E RIMPATRIATI FINO AL GENNAIO 1945

 

I prigionieri di guerra che iniziavano a rientrare in Italia subito dopo l’armistizio, attraverso l'Ufficio Autonomo potevano raggiungere o le loro case o i reparti di assegnazione, se ancora soggetti agli obblighi militari. L'organizzazione di questo ufficio si è gradualmente sviluppata in relazione alle caratteristiche ed alle necessità, arrivando al massimo della sua espansione nel secondo semestre del 1945.

Il personale impiegato nella organizzazione dei rimpatri, che fu sempre aderente alla entità del fabbisogno, inizialmente era di circa un centinaio di uomini, fino ad arrivare ad avere 2100 militari in organico e 1070 impiegati civili.

Appena giunti in territorio italiano i reduci, se sani, venivano avviati ai centri alloggio, se ammalati, ricoverati presso gli ospedali. Le operazioni espletate erano le seguenti:

-        ricevimento

-        interrogatorio

-        sistemazione matricolare

-        liquidazione competenze amministrative

-        smistamento

Prima cosa da chiarire era la posizione del reduce nei confronti degli obblighi militari. Si seguivano questi criteri:

-        i civili, venivano avviati ai centri alloggio stabiliti dalle autorità civili

-        gli appartenenti alla Marina ed alla Aeronautica erano avviati ai depositi più vicini della Marina e dell'Aeronautica, i quali provvedevano alle competenze amministrative ed ai successivi smistamenti

-        gli appartenenti all'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza erano avviati ai depositi delle Legioni dei Carabinieri e della Guardia di Finanza ove venivano espletare le stesse formalità dette sopra.

Gli appartenenti all'esercito venivano smistati secondo le seguenti norme:

a)      sino alla totale liberazione del territorio nazionale i reduci "non aventi più obblighi di servizio" ed aventi le famiglie residenti in territorio liberato sono stati restituiti alle famiglie; i reduci aventi ancora obblighi di servizio" o aventi la famiglia in territorio non ancora liberato sono stati avviati ad appositi Centri Raccolta situati a Astroni e ad Afragola per la successiva immissione nelle unità ausiliarie Britannico-Italiane (Br-Iti) o Statunitensi-Italiane  (Us-Iti) o se volontari,  nei gruppi  di combattimento.

b)     dopo la totale liberazione del territorio nazionale i reduci sono stati avviati alle rispettive residenze con una licenza di rimpatrio di due mesi allo scadere della quale i distretti hanno provveduto a collocare definitivamente in congedo coloro che non avevano più obblighi di servizio e di ricollocare in licenza, in attesa di reimpiego i militari che avevano ancora obblighi di servizio.

In questa attività di primo impianto l'Ufficio Autonomo, oltre alla distribuzione di vestiario, alla assistenza igienica, alla determinazione e corresponsione delle competenze dovute, che rientrava nella politica di accogliere il reduce nel migliore dei modi, svolse anche attività informativa sul comportamento dei reduci in prigionia.

I militari erano sottoposti ad interrogatorio ed esaminati da apposite Commissioni o Sottocommissioni in merito alle circostanze in cui era avvenuta la loro cattura ed in merito al comportamento tenuto (sia sotto l'aspetto militare che sotto l'aspetto politico) durante la prigionia. L'organo principale per l'esecuzione degli interrogatori dei reduci fu "La Commissione per l'interrogatorio degli Ufficiali reduci da prigionia di guerra", che si avvalse anche dell'opera di nove sottocommissioni, ed avente sede a Lecce. Era presieduta da un Generale.

I giudizi espressi da questa Commissione o sottocommissione erano poi passati al vaglio del Ministero e del Gabinetto.

 

 

IL RIENTRO IN ITALIA. I MEZZI ED IL NUMERO DEI MILITARI RIMPATRIATI NEL PERIODO 1943- 1944 E NEI PRIMI 4 MESI DEL 1945

 

Il rientro in Italia nel periodo da noi considerato, cioè 1943 e 1944, per quanto riguarda i trasporti fu di esclusiva competenza delle Potenze detentrici. Nel 1944 i rimpatri avvennero esclusivamente via mare (o più limitatamente per via aerea) ed essenzialmente nei porti pugliesi, più vicino all'oriente balcanico da dove proveniva la massa dei rimpatriati (non dimentichiamoci che la guerra in Grecia ebbe termine nell'ottobre 1944, in Albania nel novembre 1944 e che le truppe tedesche in Jugoslavia erano in costante ritirata verso nord fin dal gennaio 1945). Tali porti, aspetto preminente per gli alleati, non erano di primaria necessità ai fini della alimentazione logistica delle truppe alleate in Italia.

I mezzi impiegati furono come detto navi treni ed aerei oltre che automezzi, considerando che dall'estero in Italia si impiegarono solo navi inglesi, mentre quelle italiane furono utilizzate solo dal 1945 in poi; in territorio italiano poi si impiegarono i restanti mezzi quali treni ed automezzi.

Di conseguenza, citando sempre la Relazione sulla attività dell'Ufficio Autonomo; si può avere il quadro dei trasporti effettuati e per rimpatriare i reduci e per smistarli in territorio italiano.

Dall'estero in Italia si ebbero:

-        76 viaggi con nave, con cui rimpatriarono 37400 militari;

-        200 viaggi con aereo con cui rimpatriarono 2000 militari;

-        400 con mezzi vari.

In territorio italiano si ebbero:

-        25 viaggi con treno;

-        1800 viaggi con automezzi.

Per ulteriore specificazione ritengo opportuno citare il numero dei rimpatri che si ebbero nei primi quattro mesi del 1945, cioè nel periodo utile per partecipare alla Guerra di Liberazione. Si ebbero quindi i seguenti rimpatri di militari:

Gennaio 1945:      3200 militari

Febbraio 1945:      4000 militari

Marzo 1945:        15800 militari

Aprile 1945:          6600 militari

In totale quindi il numero dei rimpatri di prigionieri in mano alleata nel periodo settembre 1943 dicembre 1944 fu di 39800 e nei primi quattro mesi del 1945 fu 29600 per un totale di 69400 uomini.[11]

 

 

LA PROVENIENZA DEI MILITARI PRIGIONIERI

 

Iniziando da quelli che sono rientrati per ultimi si può dire che l'Unione Sovietica autorizzò il rimpatrio dei prigionieri italiani solo nel novembre del 1945, mentre la Francia autorizzò i primi rimpatri dal gennaio 1946.

I soldati italiani in mano americana iniziarono a rientrare dal maggio 1945, dalla Francia la massa nell'agosto 1945, quelli in Italia dal luglio 1945 così come quelli in Nord Africa. Pertanto si può dire che i militari italiani reduci dalla prigionia in mano all'Unione Sovietica, alla Francia ed agli Stati Uniti non ebbero modo di dare il loro contributo alla guerra di liberazione.

È noto che la Gran Bretagna, che effettuava i trasporti con le sue navi, aveva più volte espresso il desiderio di tenere in sua mano la preziosa manodopera italiana che impiegava sia nell'agricoltura che nell'industria sia in Gran Bretagna che nel Commonwealth. Di conseguenza gli inglesi avviarono il rimpatrio tenendo conto di questo assunto. E quindi i rimpatri dall'Australia iniziarono dal settembre 1945 e dall'Africa occidentale nell'ottobre del 1945.

Per quanto riguarda il tema del contributo si può dire che i prigionieri ed i cooperatori che contribuirono alla guerra di liberazione provenivano oltre che dai Balcani, dal Medio Oriente, dall'Africa Orientale e dal Nord Africa nonché in piccolissimo numero dalla Gran Bretagna.

 

LE ESIGENZE DELLA GUERRA DI LIBERAZIONE

 

Il contributo che il nostro paese diede alla lotta alla Germania dal punto di vista militare può essere suddiviso in due parti:

-        il contributo diretto ai combattimenti;

-        il contributo indiretto, ovvero la partecipazione alle attività logistiche alleate.

Il contributo diretto ai combattimenti, come detto in apertura, riguarda essenzialmente l'entrata in linea del I Raggruppamento Motorizzato, poi il Corpo Italiano di Liberazione ed infine i Gruppi di Combattimento.

Le vicende del I Raggruppamento Motorizzato si esauriscono con il dicembre del 1943, mentre quelle del Corpo Italiano di Liberazione nel settembre 1944, quando la linea del fronte raggiunse l'appennino tosco­emiliano e il confine tra le Marche e la Romagna.[12]

È bene dire subito che il contributo a questi corpi da parte dei prigionieri e cooperatori fu in numero e qualità irrilevante.

Occorre invece fare un cenno particolare dai Gruppi di Combattimento.

I Gruppi di Combattimento nascono dall'esigenza alleata di avere dei rimpiazzi consistenti al fronte italiano a seguito dell'apertura sia del fronte in Normandia sia di quello in Provenza.[13]

Gli accordi del 20 Dicembre 1943 di Borgo Santo Spirito, sobborgo di Bari, tra italiani e Alleati ammetteva in linea di principio una partecipazione italiana alle operazioni in Italia.

 

 

Questo accordo, su cui i vertici militari italiani molto contavano per una partecipazione alle operazioni in corso, fu disatteso dagli alleati che in quel periodo (primavera 1944) non vedevano di buon grado una partecipazione attiva degli italiani alla guerra.

Apertisi, come detto, i fronti in Francia nell'estate 1944, molte unità alleate furono trasferite dal fronte italiano, in misura tale che l'atteggia­ mento alleato, per necessità, dovette cambiare.

Il 23 luglio 1944 presso la sede della Commissione Alleata di Controllo, il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano generale Berardi ed il Capo della Commissione Alleata di Controllo, generale Browning, stabilirono un ulteriore accordo, che ebbe nella sostanza seguito, con il quale gli Alleati avrebbero avuto a disposizione due gruppi di combattimento italiani. Tali gruppi dovevano avere armamento ed equipaggiamento non inferiore a quello anglo-americano e per questo ogni necessità sarebbe stata soddisfatta dalla Intendenza alleata. In altre parole gli italiani avrebbero ricevuto armi, munizioni ed equipaggiamento dagli Alleati; in cambio avrebbero dovuto adottare i procedimenti tattici e di comando alleati.

Non si ritenne di dover dare ai gruppi di combattimento forze corazzate; quindi nella sostanza erano unità leggere composte solo da fanteria meccanizzata o motorizzata ed artiglieria, a livello divisionale.

Complessivamente nel gruppo di combattimento si sarebbero avuti 9500 uomini, ordinati in reggimenti e battaglioni, con la proporzione tra battaglioni di fanteria e gruppi di artiglieria di uno a uno, ovvero sei battaglioni di fanteria: sei gruppi di artiglieria. Da rammentare che nel 1940, quando entrammo in guerra la nostra divisione binaria prevedeva, a livello ordinativo, un rapporto di due a uno, ovvero sei battaglioni di fanteria e tre gruppi di artiglieria, a cui successivamente si cercò di rimediare assegnando ad ogni divisione due battaglioni della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

Occorre sottolineare, in relazione all'apporto che poi diedero i prigionieri ed i cooperatori, che nella assegnazione del personale per la costituzione delle varie unità dei Gruppi di Combattimento, il Capo della Missione Alleata di Controllo raccomandava che venissero assegnati i migliori uomini, scelti fisicamente e ben preparati.

In particolar modo insisteva affinché gli Ufficia li destinati alle varie unità di fanteria ed artiglieria dei gruppi venissero ben selezionati per capacità professionale, spirito combattivo, resistenza fisica, tenendo presente che la resistenza fisica doveva essere tale da reggere a marce di centinaia di chilometri per molti giorni, conservando integra l'attitudine a combattere.[14]

Nella organizzazione dei gruppi di combattimento le prime attenzioni furon rivolte proprio al problema del personale, tenendo presente che nei gruppi dovevano essere mantenuti soltanto uomini adatti al combattimento o ai connessi servizi tecnici. Per questo fatto il personale dei gruppi doveva essere vagliato e distinto in quattro categorie:

-        personale che avendo tutti i requisiti doveva essere trattenuto al gruppo;

-        personale che, avendo tutti i requisiti doveva essere trasferito per esigenze organiche ad altro gruppo;

-        personale da trasferire presso unità che già si trovavano in servizio presso gli Alleati;

-        personale che doveva essere smobilitato o perché aveva superato i limiti di età o per altre ragioni.

Se questi erano i requisiti e se molti ex prigionieri svolsero un ruolo non secondario nell'attività dei Gruppi di Combattimenti, vuol dire che dalla prigionia tornarono anche uomini integri nel morale e nel fisico, idonei a svolgere il ruolo non facile di combattenti.

Inizialmente a formare i Gruppi di Combattimento dovevano essere le divisioni "Friuli" e "Cremona ". Successivamente gli Alleati richiesero la costituzione non di due ma di sei Gruppi di Combattimento. Tale gruppi, come noto? furono il Folgore, il Legnano, il Cremona, il Friuli, il Mantova nonché il Piceno che assolse al compito di addestrare ed alimentare gli altri cinque.

I sei gruppi dovevano rimanere entro i limiti di forza stabiliti dagli Alleati, cioè 57000 uomini più un 10% per unità ausiliare e complementi per un totale complessivo di 62000 uomini.

Oltre ai gruppi di Combattimento i comandi Alleati chiesero fin dall'ottobre 1943 uomini ed unità che partecipassero al loro sforzo logistico.

Gli italiani che parteciparono a tale sforzo sono quelli delle unità Ausiliare.[15]

Persistendo l'atteggiamento alleato di non voler costituire unità da combattimento fino al luglio 1944, fu giocoforza per i responsabili del nostro Esercito aderire alle richieste alleate di costituire unità ausiliare. La maggior parte di uomini ed unità italiani disponibili dall'ottobre 1943 al luglio 1944 fu utilizzata per la difesa antiarea, per quella costiera, per la sicurezza per i servizi logistici e per gli enti territoriali nonché per i reparti ausiliari direttamente impiegati dagli alleati stessi.

Per questo ultimo caso occorre fare un cenno ai reparti salmerie. Dopo richieste alleate avanzate in vari momenti, tutte accolte dallo Stato Maggiore del Regio Esercito, all'inizio del 1944 i reparti salmerie esistenti nell'ambito dell'8 Armata Britannica vengono raggruppati nel I Gruppo salmerie, quelli della 5a Armata Britannica nel II Gruppo salmerie ed il colonnello di cavalleria Eugenio Berni Canani assume l'incarico di Ispettore delle Salmerie con il compito di sovraintendere a tutti i reparti salmerie operanti nell'ambito della 5a e della 8a Armata.

Oltre a questo contributo specifico, si può dire che gli Alleati poterono disporre della manovalanza necessaria degli autieri dei meccanici dei genieri e di ogni altro servizio loro necessario. Furono costituite la 210a, che fu quella di riferimento, la 209a, 212a, 227a, 228°, 230a e 231a Divisione Ausiliaria Italiana. Iniziata la loro formazione dell'ottobre 1943 con un numero di uomini impiegati pari a 55966 nel dicembre il numero era salito a 94881; nel maggio successivo a 124388, nel luglio 160991 per arrivare alla punta massima nell’aprile 1945 di 196000 uomini.[16]

In totale quindi tra Gruppi di Combattimento ed Unità Ausiliarie gli italiani che ebbero modo di dare nel loro complesso un valido aiuto alla causa alleata furono tra le 250000 ed le 260000 unità.

Inoltre occorre tener presente che il nostro Governo, prima Governo del Sud, poi con la liberazione di Roma, Governo del Regno d’Italia retto da   un Luogotenente, doveva pur mantenere un minimo di organizzazione territoriale, anche se integrata nell'organizzazione alleata.

 

 

IL TOTALE DEI MILITARI REDUCI DALLA PRIGIONIA CHE PARTECIPARONO ALLA GUERRA DI LIBERAZIONE

 

Abbiamo a questo punto individuato il totale dei militari italiani che diedero il loro contributo alla lotta di liberazione nei Gruppi di Combattimento (mediamente 62000) e nelle unità ausiliarie (con una punta massima nell'aprile 1945 di 196000). Abbiamo altresì individuato che nel periodo da noi considerato come utile per partecipare alla guerra di liberazione il totale dei rimpatriati all'aprile del 1945 era pari a 69000 reduci.

Su un totale di 250000-260000 uomini i reduci disponibili ammontavano a 69000, ovvero in un rapporto di 1 a 3,5. Ma dopo la prigionia non tutti erano in grado di poter passare ai gruppi di combattimento o alle unità ausiliare o alla organizzazione territoriale del nostro esercito.

I 69000 reduci furono così suddivisi, secondo la Relazione del Ministro Facchinetti già citata:

Gruppi di Combattimento: 250 ufficiali; 5000 sottufficiali e truppa. Unità ausiliare: 250 ufficiali; 21500 sottufficiali e truppa.

Enti militari italiani: 300 ufficiali; 1000 sottufficiali e truppa; Carabinieri, Marina Aeronautica 9000.

Inoltre furono posti in congedo: 150 ufficiali; 4500 sottufficiali e truppa. I restanti 28000 transitarono per gli ospedali in quanto abbisognevoli di cure e quindi congedati.[17]

Si può quindi dedurre che i reduci dalla prigionia che parteciparono alla Guerra di Liberazione non poterono dare il loro apporto nel Raggruppamento Motorizzato, al Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.), come già visto, ma diedero il loro apporto ai Gruppi di Combattimento con 5000 uomini e 250 ufficiali, mentre alle unità ausiliare il loro apporto fu quattro volte superiore con 21500 sottufficiali e truppa e 250 ufficiali.

Per i Gruppi di Combattimento la percentuale degli ex prigionieri nelle fila dei gruppi fu del 10% mentre nelle unità ausiliare, tenendo conto della cifra massima, si può parlare anche qui di una percentuale che oscilla tra il 10 e il 12%.

Il contributo invece alla riorganizzazione sul territorio fu di mille tra sottufficiali e truppa e 300 ufficiali, mentre per la Marina e la Aeronautica ed i Carabinieri nelle varie loro funzioni fu nel totale di 9 000 uomini.

Le cifre sopra esposte rilevano la dimensione del contributo, anche per forza di cose indicativo ed orientativo. Non rilevano però l'aspetto morale nonché spirituale di tale apporto.[18]   Essere passati attraverso il dramma della prigionia e poi avere la forza fisica e morale di riprendere a combattere o a dare il proprio apporto di lavoro è stato un aiuto non trascurabile alla ricostruzione morale e materiale del nostro paese. La libertà non viene mai concessa, la si deve sempre conquistare. E con il nostro apporto alla guerra con i Gruppi di Combattimento conquistammo questa libertà; con le unità ausiliarie, oltre a contribuire allo sforzo bellico alleato, si iniziò a ricostruire il nostro paese e a risanare il territorio della nostra Patria.     

L'esperienza della prigionia ha, inoltre, una ulteriore valenza che deve essere sottolineata. Il prigioniero italiano, soprattutto quello in mano inglese ed americana, aveva potuto seguire per anni, ed ancor più dopo la fine della guerra, una stampa più libera nonostante le limitazioni della censura di guerra, di quella italiana; ancor più aveva seguito meglio gli avvenimenti mondiali ed anche interni della Gran Bretagna, dell'Impero Inglese e degli Stati Uniti. Di conseguenza, non tanto per quanto aveva subito direttamente o indirettamente, quando per la constatazione dell'abisso in cui il nostro Paese era stato portato da una dittatura totalitaria e per l'apprezzamento dei consistenti vantaggi che i sistemi liberali accorda­ vano al cittadino, il prigioniero italiano tornava con sentimenti realmente democratici.

La grande massa dei prigionieri era assetata di giustizia, eguaglianza, libertà; voleva anche per il nostro Paese il prevalere di quei principi liberali che avevano portato le Nazioni Unite alla vittoria; voleva un concreto sviluppo economico e materiale, sia personale che collettivo. Tornavano con il forte desiderio di dimenticare al più presto un infelice passato, accompagnato da una grande e ferrea volontà di impegnarsi a ricostruire prima le proprie fortune, poi quelle del Paese.

In questa chiave deve essere intesa la molla che agì in moltissimi prigionieri e che li portarono a partecipare alla guerra di liberazione prima, ed alla ricostruzione del Paese poi. L’esperienza della prigionia, triste e dolorosa, sul piano collettivo presenta questo risvolto positivo e propositivo che occorre ben sottolineare, anche alla luce dello sviluppo che il nostro paese ebbe negli anni postbellici.

 

 

 

 

 

 



[1] Rinvio al riguardo alla relazione del Col. Stefano Romano dal titolo Le fonti e gli studi degli Uffici Storici sulla Prigionia e sull'Internamento presentata in questo convegno.

[2] La Commissione per lo Studio della Resistenza dei Militari Italiani all'Estero è stata istituita con Decreto del Ministro della Difesa in data 2 Gennaio 1989, presieduta dal Generale di Corpo d'Armata Ilio Muraca, con il compito di promuovere la raccolta di tutte le notizie e le testimonianze verbali e scritte del contributo fornito dalle Forze Armate all'estero negli anni 1943, 1944 e 1945.

[3] Riportata integralmente in appendice a questi Atti.

[4] Rassegna della A.N.R.P.; Anno XVI, N. 3 - Marzo 1995; n. 4 Aprile 1995; n. 5 Maggio 1995; n. 6 Giugno-Luglio 1995.

[5] La bibliografia di riferimento è vastissima. In questa sede si indicano alcuni testi, per un ampliamento di quanto esposto. In particolare può essere utile consultare: R. Zangrandi, 1943: 25 Luglio - 8 Settembre, Feltrinelli, Milano, 1964; E. Scala, Storia delle Fanterie Italiane - Le Fanterie nella Seconda Guerra Mondiale Stato Maggiore dell’Esercito, Ispettorato dell'Arma di Fanteria, Voi. X, Tipografia Regionale, Roma, 1956; F. Stefani, La Storia della dottrina e degli ordinamenti dell'Esercito Italiano Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio Storico, Volume II, Tomo 1°, Roma, 1985; M. Torsiello, Le operazioni delle unità italiane nel Settembre-Ottobre 1943, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'Esercito , Ufficio Storico, Roma , 1975; P. Iuos (a cura di) Soldati Italiani dopo 118 settembre 1943, Quaderni della F IAP - Federazione Italiana Associazioni Partigiane n. 1, Roma, 1988; AA.VV. I Gruppi di Combattimento - Cremona

- Friuli - Folgore - Legnano - Mantova - Piceno, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio Storico, Roma 1973.

[6] Fonte: Relazione sull'attività svolta per il rimpatrio dei prigionieri di guerra ed internati 1944-1947, Ministero della Guerra - Ufficio Autonomo Reduci da Prigionia di Guerra e Rimpatriati. D'ora in avanti citata come "Relazione Ufficio Autonomo".

[7] Relazione Ufficio Autonomo - Allegato 1 a questo volume.

[8] Per questo aspetto, vds, tra le fonti, E. Morozzo della Rocca. La politica estera italiana e l'Unione Sovietica 1944-48 in particolare il cap. “Nella guerra fredda” in cui si traccia un quadro abbastanza aderente e preciso dei rapporti Italia -Urss negli anni del dopoguerra.

[9] Il Centro Studi e Documentazione della A.N.R.P. dedicherà a breve un'apposita giornata di studio a questo tema.

[10] La problematica dei prigionieri di guerra ha avuto un ruolo non centrale negli studi della seconda guerra mondiale. Al riguardo, per un approccio generale, può essere utile consultare A.M. Arpino, A. Biagini, Le Fonti per la storia militare italiana in età contemporanea, Atti del III Seminario, Roma 16-17 Dicembre 1988, Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali - Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Roma, 1993.

[11] Relazione Ufficio Autonomo, Allegato 6.

[12] G. Conte, Il Primo Raggruppamento Motorizzato, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma 1974. Inoltre vds, Il Corpo Italiano di Liberazione, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1975. A. Riccheza, Qui si parla di voi, Bergamo, 1946; dello stesso autore, Il Corpo italiano di Liberazione, Milano Museo del Risorgimento, 1693.

[13] Su questo particolare aspetto vds. M. Coltrinari, Novembre 1944-Gennaio 1945: la costituzione dei Gruppi di Combattimento, in "Patria Indipendente ", anno XLIV, numero 1/2, 15-29 Gennaio 1995; dello stesso autore Di fronte alla linea Gotica, per i gruppi di Combattimento un esame che non finiva mai, in "Patria Indipendente", anno XLIV, numero 5, 12 marzo 1995.

[14] Vds. I gruppi di Combattimento op. cit., pag. 57 e seguenti.

[15] Un quadro esauriente del contributo dei militari italiani cooperatori allo sforzo logistico degli Alleati si trova in L. Lallio, "Le Unità Ausiliarie dell'esercito Italiano nella Guerra di Liberazione ", Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'esercito, Ufficio Storico, Roma, 1977.

[16] Le cifre complessive delle truppe ausiliarie (comprensive di ufficiali, sottufficiali e truppa) desunte dalle relazioni mensili compilate a cura dell'ispettorato delle truppe ausiliarie, per il 1945, sono le seguenti:

-         gennaio 1945: 154 840 (43 660 per le Armate operanti e 117 170 per le zone arretrate);

-         febbraio 1945: 164 052 (46 959 per le Armate operanti e 117 093 nelle zone arretrate);

-         marzo 1945: 178 390 (54 632 per le Armate operanti e 123758 per le zone arretrate);

-         aprile 1945: 196 086 uomini (58 663 con le Armate operanti e 137 423 per le zone arretrate);

-         maggio 1945:      177 374 uomini;

-         giugno 1945:       164 999 uomini;

-         luglio 1945:          154 829 uomini;

-         agosto 1945:        127 987 uomini;

-         settembre 1945: 91 860 uomini;

-         ottobre 1945:      66 617 uomini;

-         novembre 1945: 31 898 uomini;

-         dicembre 1945:   10 522 uomini. Fonte L. Lolli, op. cit., pag. 143 e segg.

[17] Fonte: Relazione Ufficio Autonomo, pag.  13.

[18] La memoralistica in questo campo può essere utile. Valga per tutti il Diario che Padre Andrea Valsecchi, Cappellano Militare in Albania, internato in Germania e rientrato nel Novembre 1944 in Italia a seguito di scambi di ammalati dalla Croce Rossa e dallo Stato del Vaticano, tenne in merito alla organizzazione e gestione del centro di Pescantina vicino a Verona. Sono pagine dense di umanità in cui prevalgono i racconti dei prigionieri rientrati dalla Russia dalla Germania e dalla Balcania.

Vds: P. Andrea Valsecchi, Diario, Archivio Coremite, Vol. 50.