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martedì 19 luglio 2011

L'inizio di un coinvolgimento 1995

Lo studio della prigionia e dell’intermanento come mezzo per diminuire la violenza e rafforzare la pace e la sicurezza


La prigionia e l’internamento: struttura e articolazioni

I motivi di uno studio




Questa rivista, Rassegna della ANRP, espressione della attivita della Associazione, ha avuto come obbiettivo riportare la storia e le conseguenze della prigionia e dell’internamento al fine di preservarne la memoria e dare, alle future generazioni, un riferimento reale di quanto è costato il raggiungimento e il conseguimento della democrazia e della libertà.

Gli scenari sia europei che mondiali, dal 1989, con la caduta del muro di Berlino, hanno innescato dinamiche che hanno portato il nostro Paese al centro di tensioni e conflitti sia di medio che di alto spessore. L’Italia con le sue Forze Armate ha svolto un ruolo non secondario nelle operazioni di “peace keeping” e “peace renfourcement” ( Libano, Mozzambico, Somalia, Albania, Bosnia, Kossovo); ora, dopo l’11 settembre 2001, anche in operazioni di medio-alta conflittualità in Afganistan e in Irak. Lo scopo di queste missioni è quello di abbassare il livello della violenza bellica, cercando di priteggere ed aiutare quello che, la storia lo insegna, sono le prime vittime, cioè i non combattenti, i cosidetti “civili”, che vedono la loro sicurezza, materiale e morale, messa in pericolo. Questi interventi, quindi, costituiscono contributi essenziali al ripristino della sicurezza e al rafforzamento della pace tra comunità, etnie e stati. Ora questa azione, per essere efficaci, deve avere continui contributi, adattamenti, studi, al fine di affrontare situazioni conflittuali sempre più articolate e complesse. Se non si riesce a fare questo, si partecipa in in conflitto con mezzi ( intesi come concezioni, dottrina, regole di ingaggio, intelligence, e conoscenza di amici, fiancheggiatori  avversari e nemici) inadeguati. E dato che non si può sbagliare in questa materia, le conseguenze sono pesanti. Come la strage di Nassyrya stà a dimostrare.

Uno dei mezzi per avere strumenti adeguati in operazioni in Area e Fuori Area è quello di conoscere le dinamiche della violenza, sia essa bellica o di altra natura. Nelle parti in conflitto, la spirale della violenza spesso conduce a reazioni e ritorzioni, spesso volute da chi compie un atto violente, che si traduce in rappresaglie, restrizioni, limitazioni di movimento per arrivare alla privazione della libertà in individue cosidetti o consiuderati “sospetti”, ovvero alla attuazione della prigionia militare e dell’internamento. Con questo approccio si apre il tema, che si credeva fino al 1989 relegato solo alla Storia, dell’internamento e della prigionia come protagonisti dei conflitti. Due esempi: nel conflitto tra serbi croati e bosniaci nel 1991 si sono aperti, con scientificità, i campi di concentramento, in cui si avviavano e si detenevano i “sospetti”, con il solito corollario di violenze indivurali, crudeltà ed efferatezze; nell’attuale conflitto in Irak e in Afganistan, vi è il “bubbone” dei Talebani detenutti a Gantanamo Bey, sospettati di essere terroristi. Anche qui detenzione e trattamento che è tutto da verificare. In entrambi i conflitti l’Italia è intervenuta con le sue Forze Armate per “operazioni di pace”. E’ chiaro che l’Italia non è coinvolta direttamente in questi fenomeni, ma è anche chiaro che non vi è a monte alcuna conoscenza approfondita su come affrontare con linearità e chiarezza tali fenomeni. Non si vorrebbe che, in un futuro più o meno lontano i nostri soldati impegnati a riportare la sicurezza e la pace, fossero invischiati in storie di “ detenzione di sospetti” ed altro, con il rischio di essere accusati di crimini e di essere dalla parte del carnefice. Avvisaglie di questi pericoli, che vanno contro tutte le buone volontà, si sono avuti nella operazione in Somalia.
Occorre quindi uno studio a vasto raggio che permetta di affrontare queste operazioni, questi impegni con mezzi giuridici moderni, con una cultare tale che permetta di evitare errori, e scivoloni, che permetta di esercitare la violenza, in quando non si può fare a meno in circostanze come quelle dell’impiego in un conflitto, nell’ambito non solo della legge nazionale e internazionale, ma anche nei canoni della legge della coscienza e delle genti. E questo non è facile.

L’esempio che si può fare del concetto espresso è quello di che cosa succede se, in una operazione brillantemente riuscita, si catturano gli autori della strage di Nassyrya. Pensi il lettore a quale dinamiche si va incontro. Il mito dell’”Italiano brava gente” non regge più di tanto.

In questo quadro lo studio della prigionia, che è un fenomeno direttamente conseguente ad ogni conflitto, di qualsiasi natura, e dell’internamento, anche esso collegato, riferito a popolazioni civili, può aiutare a svolgere le missioni di pace nell’ambito della norma e contribuire al loro successo.

L’Associazione quindi si è data un nuovo traguardo.Ovvero, attraverso lo studio del passato, comprendere come prigionia ed internamento debbono essere esercitati e come attraverso essi si possa abbassare la violenza, bellica e non,  in tutte le sue forme. Ed ha subito operato in questo senso. Ha accettato la proposta di contribuire al sostegno di un Corso presso l’Università “La Sapenza” di Roma, Facoltà di Lettere e Filosofia, sulla Prigionia e l’Internamento. Tale impegno si è tramutato nella pubblicazione, nella collana “Quaderni” , di “I prigionieri di Guerra nella Storia d’Italia”, a cura di Anna Maria Isastia. Il corso, avviato ad ottobre, ha avuto, dall’analisi dei primi dati, un crescente successo e l’interessamento dei giovani è stato massiccio, superando ogni aspettativa.
Altre iniziative sono in fase attuattiva e “Rassegna” pubblicherà contributi, come questo che sulla definizione di Campo di Concentramento, e studi e saggi.

Noi crediamo che in questi giorni di lutto e di dolore, il miglior modo di rendere omaggio a chi ha dato la vita per la pace e la sicurezza di altri popoli, sia quello che contribuire a capire e a cercare di limitare o attenuare i fenomeni di violenza annessi a conflitti, nel ricordo di chi prima di noi subi privazioni, umiliazioni, sofferenze dietro un reticolato, in nome di una idea, di un valore, di un domani migliore.




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