“Mario aveva
violato le leggi della guerra”. Con questa affermazione Sallustio conclude la
narrazione di un episodio particolarmente crudele della guerra che i Romani
conducevano contro Giugurta: la distruzione della città di Capua, l'uccisione
di tutti gli uomini atti alle armi fatti prigionieri, la vendita come schiavi
delle donne e dei bambini. Il comportamento di Mario era delittuoso perché la
città si era arresa e perché era stata proditoriamente assalita. Sebbene non
fosse in guerra. Ma subito dopo questa affermazione Sallustio assolve Mario dal
suo misfatto (Mario il tribuno della plebe, l'erede dei Gracchi come paladino
della Giustizia sociale) perché non aveva agito per cupidigia o per mentalità
criminale ma soltanto per evitare che la città di Capua diventasse un punto
d'appoggio per il nemico. Dopo questo successo conseguito senza la perdita di
un solo uomo, commenta Sallustio, il più grande è famoso Mario fu considerato
ancora più grande è la sua fama sali alle stelle”
Sulla giustizia prevalse dunque il successo. Esistevano, è vero, delle leggi di guerra certo più vecchie che la memoria dell'uomo e delle quali i Romani si vantavano di essere fedeli custodi come assertori, primi fra tutti, del diritto delle genti; ma queste leggi perdevano ogni valore di fronte alla necessità di vincere, ed ogni loro conseguente sanzione, sia pure soltanto morale, si vanificava nella gloria del vincitore che non come tale diventava Fonte Suprema e unica del diritto. (massimo coltrinari)
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