3.5.4 Monte Narba x
La miniera di Monte
Narba entra nello scenario della prigionia in Italia dalle cronache del Diario
del Gen. Carmine Ferrari quando rivela che, il 18 dicembre 1915, giungeva al
largo dell’Asinara il piroscafo Dante Alighieri con a bordo 1.995 prigionieri
di cui 635 ufficiali, fortunatamente tutti esenti da malattie contagiose.
Ultimato lo sbarco degli ufficiali il giorno 21, questi furono alloggiati secondo
le indicazioni del Colonnello Eldmann, ufficiale austro ungarico di grado più
elevato, che suggerì la suddivisione per nazionalità.
Trascorso il peridio
contumaciale, il comandante del Corpo d’Armata dispose il trasferimento di 160
ufficiali a Porto Ferraio, 150 a Cittaducale e il “maggior numero possibile”
alla miniera di Monte Narba, si disponeva altresì di mantenere sull’isola tutti
gli ufficiali medici e qualche ufficiale per la disciplina. Fra 30 e il 31
dicembre partirono per Monte Narba un centinaio di ufficiali.[1]
Il villaggio di Monte
Narba, località di montagna a circa 700 m. S.L.M., si trova nel sud est della
Sardegna, dista circa ottanta chilometri dal capoluogo regionale,
amministrativamente appartenente al comune di San Vito Sardo.
Il villaggio prese
corpo intorno alla miniera che sin dalla prima metà dell’Ottocento estraeva
principalmente minerali di argento, piombo e zinco. Alloggi per gli operai,
abitazioni per gli impiegati, edificio della amministrazione, villa della
direzione, magazzini, officine, spaccio e ospedale rendevano il villaggio
sostanzialmente autonomo. Il verde delle montagne circostanti ne faceva un
luogo gradevole, tra l’altro, lontano dalla endemicità della malaria.
Fonti locali confermano
il numero degli ufficiali prigionieri, i già noti 100 di cui il Diario del Gen.
Ferraris, ma, a Monte Narba giunsero ulteriori 30 soldati specializzati[2], militari
di truppa non esentati dal lavoro come invece accadeva per gli ufficiali. La
loro presenza è storicamente accertata in quanto parteciparono alla
realizzazione della nuova laveria, ”… l’opera fu velocemente terminata grazie
all’aiuto dei militari austriaci prigionieri”. [3]
Il numero dei
prigionieri di guerra presenti a Monte Narba è confermato dai documenti della
Commissione Centrale per i prigionieri di guerra, al 1° gennaio 1917 a
Monte Narba risultavano presenti 96 ufficiali appartenenti al gruppo
proveniente da Valona e 30 uomini di truppa.[4]
Nell’archivio storico
della Parrocchia di San Vito sono conservate due lettere inviate dall’allora
sacerdote Don Demontis alla diocesi di Cagliari per informare sullo svolgimento
delle pratiche religiose nel campo prigionieri di Monte Narba. Nella prima
lettera datata 20.01.1916, Don Demontis riferisce che, in accordo con il
Comando militare, si stabiliva che, da domenica 23 gennaio, si sarebbe
improvvisato un altarino in un vasto locale della miniera per consentire al
Capitano, Cappellano dei prigionieri, P. Gabriele Cvitanović[5] di
celebrare la messa in austriaco. Don Demontis al fine di favorire la
celebrazione del “santo sacrificio” assicurava di farsi carico del necessario
per sostenere il sacerdote dei prigionieri ma, in considerazione della povertà
della sua chiesa, chiedeva il sostegno dei “parroci cittadini” per il
reperimento dei paramenti e quanto necessario per la celebrazione delle messe a
Monte Narba. Il parroco di San Vito si premurava inoltre, di assicurare l’Arcivescovo
di Cagliari sull’effettivo stato religioso del Cappellano dei prigionieri:
Padre Gabriele Cvitanović aveva richiesto la
confessione e Don Demontis trasse l’impressione di un “…contegno
religiosissimo.”.
Nella seconda lettera
datata 29 giugno 1916, Don Demontis comunicava al Mons. Vicario che, per
espresso e ripetuto desiderio degli ufficiali austriaci, si era reso necessario
modificare la giornata per la celebrazione della messa, stabilendo che questa
si svolgesse tutti i mercoledì. Per mancanza di un locale idoneo le messe si
svolgevano nel piazzale sotto un grosso albero di carrubo, serviva il rito un soldato
austriaco sia per il suo “grave comportamento che per la correttissima
pronunzia del latino…”, alla messa prendevano parte anche il comandante del
campo e molti soldati italiani.
La vita degli ufficiali
a Monte Narba scorreva tranquilla, tanto che, secondo testimonianze,[6] gli
alloggi risultavano ben tenuti, furono realizzati giardini ben curati e persino
degli orti. Nelle serate si organizzavano persino tornei di tennis. Il Sottotenete
Alessandro Zechmeister riusciva addirittura ad inviare una cartolina in
franchigia alla Columbia Graphophone Comp. di Milano affinché venissero spediti
a Monte Narba dei dischi musicali e un catalogo recente[7].
L’esame dei registri
degli atti di morte del comune di San Vito per il periodo 1915 – 1920 rivela
che nel campo di Monte Narba non vi furono decessi tra i prigionieri, persino
l’epidemia di influenza spagnola dell’inverno 1918, lascio indenne Monte Narba.
Un ufficiale,
probabilmente un affermato pittore, decorò le pareti e le volte del fabbricato
che ospitava l’amministrazione e Villa Madama, la palazzina di tre piani
adibita a direzione della miniera. Per decenni i decori hanno affascinato i
visitatori della miniera, oggi lo stato di abbandono del sito gli ha
compromessi irreparabilmente.
Il campo di prigionia
di Monte Narba ospitò anche Bogdan Devidè, militare medico “accessist ”, nato a
Zagabria nel 1885. Rientrato in Croazia dopo la fine del primo conflitto
mondiale, Bogdan Devidè moriva il 20 febbraio 1945 nel campo di concentramento
di Mauthausen, vittima delle atrocità del nazismo[8].
Simbolicamente Bogdan Devidè rappresenta il ponte tra la prigionia di guerra
del primo conflitto mondiale e la prigionia della Seconda guerra mondiale.
Il campo di Monte
Narba, se pur nel contesto delle costrizioni della prigionia di guerra, ha
rappresentato forse un unicum a livello nazionale, gli ufficiali prigionieri
poterono dedicarsi ai loro hobby, così come i soldati italiani impiegati nella
custodia dei prigionieri non ebbero modo di lamentarsi del contegno dei
prigionieri loro affidati. Un clima di rispetto reciproco più volte riscontrato
anche nei paesi della Sardegna dove, i distaccamenti prigionieri di guerra,
operarono nei diversi lavori e di cui si dirà nel capitolo dedicato.
[1]
Ferrari G.C., Relazione del campo di prigionieri colerosi all'Isola
dell'Asinara nel 1915 – 1916, Provveditorato Generale dello Stato, Roma 1929
[3]
Ibidem
[4] Archivio
Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito (A.U.S.S.M.E.) Fondo 11 Racc. 127
cart. 6
[5]
Di Padre Gabriele Cvitanovic (1877-1955) e del periodo di prigionia in Sardegna
si ha notizia nel suo diario pubblicato dal nipote Karlo Jurišić sotto il
titolo: Fra Gabro Cvitanović i njegov Ratni dnevnik (1914.-1918.), Spit 1984.
Il frate dell’Ordine dei Minori Francescani, reduce della lunga marcia della
morte nei Balcani, sbarcò sull’Asinara per poi essere inviato alla miniera di
Monte Narba.
[6] Mezzolani
S. e Simoncini A., La miniera d'argento di Monte Narba, Gia Editore – Cagliari,
1989
[7] Madeddu
G. La Damnatio ad Metalla, Gaspari Editore – Udine 2018
[8] Mauthausen
Memorial Archives - https://raumdernamen.mauthausen-memorial.org