IL
CONTRIBUTO DEI PRIGIONIERI E DEI COOPERATORI ALLA GUERRA DI LIBERAZIONE
MASSIMO COLTRINARI
LE
FONTI
Il
tema affidatomi per questo contributo necessita, prima di essere affrontato, di
una seppur sommaria indicazione delle fonti utilizzate.
Primariamente
sono state utilizzate le fonti personali, diaristiche e le relazioni stilate al
momento del rientro in Italia dei prigionieri e degli internati. La maggior
parte di questa documentazione è raccolta presso l'Ufficio Storico dello Stato
Maggiore dell’Esercito.[1]
Materiale
utilizzato è stato anche quello raccolto dalla Commissione per la Resistenza
dei Militari Italiani all'Estero, istituita nel 1989 dal Ministero della Difesa
al fine di documentare le vicende dei militari italiani all'estero dopo l'8
settembre.[2]
Per
le fonti edite, i vari volumi che trattano dei prigionieri, dei cooperatori e
degli internati che affluirono nelle formazioni regolari danno in linea
generale una indicazione o sommaria o complementare.
In
ogni caso, come eccezione, ritengo di dover segnalare il testo base che ho
utilizzato, ovvero la “Relazione sulla attività svolta per il rimpatrio dei prigionieri
di guerra ed internati 1944-1947” edita nel 1947 dal Ministero della Guerra -
Ufficio Autonomo Reduci da Prigionia di Guerra e Rimpatriati.[3]
L'utilizzo di questa pubblicazione , poi, ha avuto un risvolto che ritengo
utile segnalare per un eventuale approfondimento in quanto la Rivista
dell'Associazione che organizza questo convegno ha iniziato dal numero di marzo
a pubblicare, a mia cura, i tratti salienti della citata relazione con un
approccio non riferito solo ai Gruppi di Combattimento, ma globale, indicandone
tutti i vari aspetti sia quantitativi che qualitativi delle vicende dei
prigionieri , dei collaboratori e degli internati.
Ritengo
quindi utile rinviare anche a quegli articoli al fine di avere un quadro
generale di situazione.[4]
IL
QUADRO TEMPORALE DEL CONTRIBUTO DEI PRIGIONIERI E DEI COLLABORATORI ALLA GUERRA
DI LIBERAZIONE
È
necessario indicare il quadro temporale del contributo dei prigionieri e dei
collaboratori alla guerra di liberazione in quanto le vicende che vanno dal
1939 al 1945 sono così variegate che potrebbero generarsi delle sovrapposizioni
se non si fissano bene i limiti della trattazione.
La
guerra di liberazione, come noto, ha avuto inizio in via informale con le
vicende armistiziali del settembre 1943 ed in via formale il 13 ottobre 1943.
La guerra contro la Germania, dichiarata dal Governo italiano presieduto dal
Maresciallo Badoglio su nomina di Vittorio Emanuele III, aveva lo scopo di
liberare l’Italia, in collaborazione con gli Alleati, dalla occupazione
germanica. Non si entra qui in tutti gli aspetti di questo assunto: rimane il
dato di riferimento. Pertanto un
eventuale contributo poteva essere dato dai prigionieri e dai cooperatori solo
nell'arco di tempo che va dall'ottobre 1943 all'aprile 1945.
In
questo arco di tempo le Forze Armate italiane subirono una lenta e quanto mai
travagliata evoluzione. Dopo lo sfacelo del settembre 1943, i reparti che
mantennero in Corsica, in Sardegna, ed in generale nelle province meridionali
la loro configurazione organica, furono l'ossatura delle rinate Forze Armate
italiane. Da questi reparti ebbe inizio la ricostruzione che ha avuto la
seguente scansione:
-
ottobre-dicembre 1943: costituzione del
Raggruppamento Motorizzato, che ebbe il suo battesimo del fuoco a Montelungo
nel dicembre 1943;
-
gennaio-settembre 1944: la costituzione
del Corpo Italiano di Liberazione, che combatté prima in Campania, poi
nell'Abruzzo e indi nelle Marche, ove la battaglia di Filottrano è il momento
più esaltante;
-
ottobre 1944 - aprile 1945: costituzione
ed impiego dei Gruppi di Combattimento.
Questo
per le forze di terra.
Per
l'Aeronautica si ha la collaborazione con le forze aeree alleate, e con la
costituzione della Balkan Air Forze la Regia Aeronautica partecipava al
sostegno della guerra in Jugoslavia ed in Albania.
La
Marina venne impiegata con il suo naviglio sottile, mentre con il Reggimento
San Marco partecipava alle operazioni terrestri.
Accanto
alle forze combattenti vi erano da una parte le forze che diedero vita alla
riorganizzazione territoriale militare e a quella per l'ordine pubblico e
dall'altra quelle che parteciparono allo sforzo logistico delle unità alleate.[5]
In
base agli accordi tra le autorità militari alleate ed il Governo italiano fu
nelle unità combattenti ed in quelle logistiche e territoriali che i
prigionieri e i cooperatori ebbero modo di dare il loro contributo alla guerra
di liberazione.
Prima
di individuare l'entità di questo contributo ritengo utile dare un seppur
sommario quadro generale della situazione dei prigionieri e dei collaboratori
italiani nella seconda metà del 1943 ed i successivi sviluppi nel 1944.
LA
SITUAZIONE DEI PRIGIONIERI E COOPERATORI NEL 1943 E NEL 1944
Fino
all'armistizio dell'8 settembre 1943 non vi era altra categoria che quella dei
prigionieri di guerra. Il totale dei prigionieri di guerra, cioè personale
militare italiano catturato in operazioni belliche, ammontava a 591000 uomini.
A
questo, per inciso, si devono aggiungere per il periodo susseguente
l'armistizio, cioè settembre - ottobre 1943, gli internati, che ammontavano a
765000 unità. Io non tratterò degli internati, ma solo dei prigionieri. Si è
detto che essi ammontavano a 591000.[6]
Non
erano tutti in mano ad un solo Paese, come ovvio, ma a seconda dei fronti di
impiego erano in mano alla Gran Bretagna, agli Stati Uniti ed alla Russia.
Quindi si hanno tre blocchi di prigionieri: quelli in mano inglese, quelli in
mano statunitense e quelli in mano russa. In più vi erano quei prigionieri che
gli Stati Uniti cedettero alla Francia di de Gaulle.
La
relazione citata ci fornisce i numeri di questa sottodivisione.[7]
In
mano della Gran Bretagna abbiamo 408000 militari italiani, che erano tenuti non
solo in Gran Bretagna, ma anche in tutti i paesi dell’Impero Britannico secondo
questa suddivisione:
-
Gran Bretagna 158000
-
Gibilterra 500
-
Nord Africa (Algeria) 41500
-
A.O.I., Kenia e Tanganica 41000
-
Nigeria, Sierra Leone, Costa d'Oro
1500
-
Rodesia e Sud Africa 43000
-
Libia, Egitto e Palestina 58000
-
Iran ed Irak 2000
-
India e Ceylon
35000
-
Australia 17500
In
mano americana vi erano 125000 prigionieri secondo questa suddivisione:
-
Negli Stati Uniti
50000
-
Nelle Hawaii 1000
-
In Algeria 10000
-
In Italia, e poi in Francia 1000
In
mano sovietica, a seguito della ritirata del dicembre 1942 e gennaio 1943,
secondo le stime italiane la cifra dei prigionieri italiani, avrebbe dovuto
aggirarsi da un minimo di 60000 ad un massimo di 80000. Il governo sovietico
comunicò che in sua mano vi erano 20000 italiani prigionieri. Quelli che effettivamente rimpatriarono
furono 12500.
Nel
dopoguerra vi furono, come noto, polemiche roventi sui prigionieri italiani in
Russia.[8] Oggi con
la caduta del muro di Berlino vi è la possibilità di accedere agli archivi
sovietici e di avere ulteriori elementi su questo aspetto.
Un
cenno agli italiani in mano ai francesi. Questa è una triste vicenda che spesso
è sconosciuta che fa il complemento con il comportamento del Corpo di
Spedizione Francese in Italia. In mano delle forze gaulliste vi erano circa 37500
militari italiani tutti in Algeria.[9]
Dato
il quadro generale dei prigionieri in mano delle Nazioni Unite, ai nostri fini,
occorre rilevare che il personale militare caduto prigioniero negli anni 1941 e
1942 era per la quasi totalità in mano inglese e fu portato in tutte le parti
dell'Impero come visto.
Scambi
di prigionieri guerra durante si ebbero tra l'Italia e la Gran Bretagna ma si
trattava per lo più di ammalati e feriti gravi, pertanto ai nostri fini ciò ha
solo valore indicativo.
In
linea di massima si può già dire che ebbero modo di dare il loro contributo
alla guerra di liberazione coloro che ebbero la sventura di cadere prigionieri
nelle operazioni condotte nel 1943 ovvero negli ultimi mesi della campagna in
Africa Settentrionale e nella Campagna di Sicilia.[10]
LE
STRUTTURE E GLI ORGANI PREPOSTI ALL'ACCOGLIMENTO DEI PRIGIONIERI
Superati
fra mille difficoltà i giorni post-armistiziali e stabilitosi nei suoi vari
organi il Governo del Re nelle Puglie, si pose il problema, tra i molti sul tappeto,
del rimpatrio dei prigionieri italiani.
Infatti
non vi era più ragione, ora che l'armistizio era stato firmato, che gli Alleati
tenessero degli italiani prigionieri. Questo è un assunto che ebbe piena
applicazione solo dopo il 1945, ma che si pose già alla fine del 1943.
Il
Governo Italiano istituì per affrontare il problema dei prigionieri i seguenti
organi:
-
l'Alto Commissariato per i Prigionieri
di Guerra, con regio decreto legge 6 Aprile 1944;
-
l'Alto Commissariato per l'assistenza
dei profughi di Guerra, con regio decreto legge 29 maggio 1944.
Verso
la fine del 1944 fu istituito l'Ufficio Autonomo Reduci da Prigionia di Guerra
e Rimpatriati (Decreto Ministeriale in data 9 novembre 1944 n. 1300), avente lo
scopo di occuparsi delle questioni attinenti il ricevimento, il trattamento , e
il successivo smistamento dei reduci dalla prigionia e da
internamento all'atto del
loro rimpatrio sino
al loro invio alla località di origine o alle unità
militari di reimpiego , se il prigioniero o il rimpatriato era ancora soggetto
agli obblighi militari.
Nel
1945 fu istituito il Ministero della Assistenza Post-Bellica (decreto legge 21
giugno 1945 n. 380 e 31 luglio 1945 n. 425), che assorbiva le attribuzioni
degli Alti Commissariati istituiti nel 1944.
L'ATTIV1TÀ
DELL'UFFICIO AUTONOMO REDUCI DA PRIGIONIA DI GUERRA E RIMPATRIATI FINO AL
GENNAIO 1945
I
prigionieri di guerra che iniziavano a rientrare in Italia subito dopo l’armistizio,
attraverso l'Ufficio Autonomo potevano raggiungere o le loro case o i reparti
di assegnazione, se ancora soggetti agli obblighi militari. L'organizzazione di
questo ufficio si è gradualmente sviluppata in relazione alle caratteristiche
ed alle necessità, arrivando al massimo della sua espansione nel secondo
semestre del 1945.
Il
personale impiegato nella organizzazione dei rimpatri, che fu sempre aderente
alla entità del fabbisogno, inizialmente era di circa un centinaio di uomini,
fino ad arrivare ad avere 2100 militari in organico e 1070 impiegati civili.
Appena
giunti in territorio italiano i reduci, se sani, venivano avviati ai centri
alloggio, se ammalati, ricoverati presso gli ospedali. Le operazioni espletate
erano le seguenti:
-
ricevimento
-
interrogatorio
-
sistemazione matricolare
-
liquidazione competenze amministrative
-
smistamento
Prima
cosa da chiarire era la posizione del reduce nei confronti degli obblighi
militari. Si seguivano questi criteri:
-
i civili, venivano avviati ai centri
alloggio stabiliti dalle autorità civili
-
gli appartenenti alla Marina ed alla
Aeronautica erano avviati ai depositi più vicini della Marina e
dell'Aeronautica, i quali provvedevano alle competenze amministrative ed ai
successivi smistamenti
-
gli appartenenti all'Arma dei
Carabinieri e della Guardia di Finanza erano avviati ai depositi delle Legioni
dei Carabinieri e della Guardia di Finanza ove venivano espletare le stesse
formalità dette sopra.
Gli
appartenenti all'esercito venivano smistati secondo le seguenti norme:
a)
sino alla totale liberazione del
territorio nazionale i reduci "non aventi più obblighi di servizio"
ed aventi le famiglie residenti in territorio liberato sono stati restituiti
alle famiglie; i reduci aventi ancora obblighi di servizio" o aventi la
famiglia in territorio non ancora liberato sono stati avviati ad appositi
Centri Raccolta situati a Astroni e ad Afragola per la successiva immissione
nelle unità ausiliarie Britannico-Italiane (Br-Iti) o
Statunitensi-Italiane (Us-Iti) o se
volontari, nei gruppi di combattimento.
b)
dopo la totale liberazione del
territorio nazionale i reduci sono stati avviati alle rispettive residenze con
una licenza di rimpatrio di due mesi allo scadere della quale i distretti hanno
provveduto a collocare definitivamente in congedo coloro che non avevano più
obblighi di servizio e di ricollocare in licenza, in attesa di reimpiego i
militari che avevano ancora obblighi di servizio.
In
questa attività di primo impianto l'Ufficio Autonomo, oltre alla distribuzione
di vestiario, alla assistenza igienica, alla determinazione e corresponsione
delle competenze dovute, che rientrava nella politica di accogliere il reduce
nel migliore dei modi, svolse anche attività informativa sul comportamento dei reduci
in prigionia.
I
militari erano sottoposti ad interrogatorio ed esaminati da apposite
Commissioni o Sottocommissioni in merito alle circostanze in cui era avvenuta
la loro cattura ed in merito al comportamento tenuto (sia sotto l'aspetto
militare che sotto l'aspetto politico) durante la prigionia. L'organo principale
per l'esecuzione degli interrogatori dei reduci fu "La Commissione per
l'interrogatorio degli Ufficiali reduci da prigionia di guerra", che si
avvalse anche dell'opera di nove sottocommissioni, ed avente sede a Lecce. Era
presieduta da un Generale.
I
giudizi espressi da questa Commissione o sottocommissione erano poi passati al
vaglio del Ministero e del Gabinetto.
IL
RIENTRO IN ITALIA. I MEZZI ED IL NUMERO DEI MILITARI RIMPATRIATI NEL PERIODO
1943- 1944 E NEI PRIMI 4 MESI DEL 1945
Il
rientro in Italia nel periodo da noi considerato, cioè 1943 e 1944, per quanto
riguarda i trasporti fu di esclusiva competenza delle Potenze detentrici. Nel
1944 i rimpatri avvennero esclusivamente via mare (o più limitatamente per via
aerea) ed essenzialmente nei porti pugliesi, più vicino all'oriente balcanico
da dove proveniva la massa dei rimpatriati (non dimentichiamoci che la guerra
in Grecia ebbe termine nell'ottobre 1944, in Albania nel novembre 1944 e che le
truppe tedesche in Jugoslavia erano in costante ritirata verso nord fin dal
gennaio 1945). Tali porti, aspetto preminente per gli alleati, non erano di
primaria necessità ai fini della alimentazione logistica delle truppe alleate
in Italia.
I
mezzi impiegati furono come detto navi treni ed aerei oltre che automezzi,
considerando che dall'estero in Italia si impiegarono solo navi inglesi, mentre
quelle italiane furono utilizzate solo dal 1945 in poi; in territorio italiano
poi si impiegarono i restanti mezzi quali treni ed automezzi.
Di
conseguenza, citando sempre la Relazione sulla attività dell'Ufficio Autonomo;
si può avere il quadro dei trasporti effettuati e per rimpatriare i reduci e
per smistarli in territorio italiano.
Dall'estero
in Italia si ebbero:
-
76 viaggi con nave, con cui rimpatriarono
37400 militari;
-
200 viaggi con aereo con cui
rimpatriarono 2000 militari;
-
400 con mezzi vari.
In
territorio italiano si ebbero:
-
25 viaggi con treno;
-
1800 viaggi con automezzi.
Per
ulteriore specificazione ritengo opportuno citare il numero dei rimpatri che si
ebbero nei primi quattro mesi del 1945, cioè nel periodo utile per partecipare
alla Guerra di Liberazione. Si ebbero quindi i seguenti rimpatri di militari:
Gennaio 1945: 3200 militari
Febbraio 1945: 4000
militari
Marzo 1945: 15800 militari
Aprile 1945: 6600 militari
In
totale quindi il numero dei rimpatri di prigionieri in mano alleata nel periodo
settembre 1943 dicembre 1944 fu di 39800 e nei primi quattro mesi del 1945 fu
29600 per un totale di 69400 uomini.[11]
LA
PROVENIENZA DEI MILITARI PRIGIONIERI
Iniziando
da quelli che sono rientrati per ultimi si può dire che l'Unione Sovietica
autorizzò il rimpatrio dei prigionieri italiani solo nel novembre del 1945,
mentre la Francia autorizzò i primi rimpatri dal gennaio 1946.
I
soldati italiani in mano americana iniziarono a rientrare dal maggio 1945,
dalla Francia la massa nell'agosto 1945, quelli in Italia dal luglio 1945 così
come quelli in Nord Africa. Pertanto si può dire che i militari italiani reduci
dalla prigionia in mano all'Unione Sovietica, alla Francia ed agli Stati Uniti
non ebbero modo di dare il loro contributo alla guerra di liberazione.
È
noto che la Gran Bretagna, che effettuava i trasporti con le sue navi, aveva
più volte espresso il desiderio di tenere in sua mano la preziosa manodopera
italiana che impiegava sia nell'agricoltura che nell'industria sia in Gran
Bretagna che nel Commonwealth. Di conseguenza gli inglesi avviarono il
rimpatrio tenendo conto di questo assunto. E quindi i rimpatri dall'Australia
iniziarono dal settembre 1945 e dall'Africa occidentale nell'ottobre del 1945.
Per
quanto riguarda il tema del contributo si può dire che i prigionieri ed i
cooperatori che contribuirono alla guerra di liberazione provenivano oltre che
dai Balcani, dal Medio Oriente, dall'Africa Orientale e dal Nord Africa nonché
in piccolissimo numero dalla Gran Bretagna.
LE
ESIGENZE DELLA GUERRA DI LIBERAZIONE
Il
contributo che il nostro paese diede alla lotta alla Germania dal punto di
vista militare può essere suddiviso in due parti:
-
il contributo diretto ai combattimenti;
-
il contributo indiretto, ovvero la
partecipazione alle attività logistiche alleate.
Il
contributo diretto ai combattimenti, come detto in apertura, riguarda
essenzialmente l'entrata in linea del I Raggruppamento Motorizzato, poi il
Corpo Italiano di Liberazione ed infine i Gruppi di Combattimento.
Le
vicende del I Raggruppamento Motorizzato si esauriscono con il dicembre del
1943, mentre quelle del Corpo Italiano di Liberazione nel settembre 1944,
quando la linea del fronte raggiunse l'appennino toscoemiliano e il confine
tra le Marche e la Romagna.[12]
È
bene dire subito che il contributo a questi corpi da parte dei prigionieri e
cooperatori fu in numero e qualità irrilevante.
Occorre
invece fare un cenno particolare dai Gruppi di Combattimento.
I
Gruppi di Combattimento nascono dall'esigenza alleata di avere dei rimpiazzi
consistenti al fronte italiano a seguito dell'apertura sia del fronte in
Normandia sia di quello in Provenza.[13]
Gli
accordi del 20 Dicembre 1943 di Borgo Santo Spirito, sobborgo di Bari, tra
italiani e Alleati ammetteva in linea di principio una partecipazione italiana
alle operazioni in Italia.
Questo
accordo, su cui i vertici militari italiani molto contavano per una
partecipazione alle operazioni in corso, fu disatteso dagli alleati che in quel
periodo (primavera 1944) non vedevano di buon grado una partecipazione attiva
degli italiani alla guerra.
Apertisi,
come detto, i fronti in Francia nell'estate 1944, molte unità alleate furono
trasferite dal fronte italiano, in misura tale che l'atteggia mento alleato,
per necessità, dovette cambiare.
Il
23 luglio 1944 presso la sede della Commissione Alleata di Controllo, il Capo
di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano generale Berardi ed il Capo della
Commissione Alleata di Controllo, generale Browning, stabilirono un ulteriore
accordo, che ebbe nella sostanza seguito, con il quale gli Alleati avrebbero
avuto a disposizione due gruppi di combattimento italiani. Tali gruppi dovevano
avere armamento ed equipaggiamento non inferiore a quello anglo-americano e per
questo ogni necessità sarebbe stata soddisfatta dalla Intendenza alleata. In
altre parole gli italiani avrebbero ricevuto armi, munizioni ed equipaggiamento
dagli Alleati; in cambio avrebbero dovuto adottare i procedimenti tattici e di
comando alleati.
Non
si ritenne di dover dare ai gruppi di combattimento forze corazzate; quindi
nella sostanza erano unità leggere composte solo da fanteria meccanizzata o
motorizzata ed artiglieria, a livello divisionale.
Complessivamente
nel gruppo di combattimento si sarebbero avuti 9500 uomini, ordinati in
reggimenti e battaglioni, con la proporzione tra battaglioni di fanteria e
gruppi di artiglieria di uno a uno, ovvero sei battaglioni di fanteria: sei
gruppi di artiglieria. Da rammentare che nel 1940, quando entrammo in guerra la
nostra divisione binaria prevedeva, a livello ordinativo, un rapporto di due a uno,
ovvero sei battaglioni di fanteria e tre gruppi di artiglieria, a cui
successivamente si cercò di rimediare assegnando ad ogni divisione due
battaglioni della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Occorre
sottolineare, in relazione all'apporto che poi diedero i prigionieri ed i
cooperatori, che nella assegnazione del personale per la costituzione delle
varie unità dei Gruppi di Combattimento, il Capo della Missione Alleata di
Controllo raccomandava che venissero assegnati i migliori uomini, scelti
fisicamente e ben preparati.
In
particolar modo insisteva affinché gli Ufficia li destinati alle varie unità di
fanteria ed artiglieria dei gruppi venissero ben selezionati per capacità
professionale, spirito combattivo, resistenza fisica, tenendo presente che la
resistenza fisica doveva essere tale da reggere a marce di centinaia di chilometri
per molti giorni, conservando integra l'attitudine a combattere.[14]
Nella
organizzazione dei gruppi di combattimento le prime attenzioni furon rivolte
proprio al problema del personale, tenendo presente che nei gruppi dovevano
essere mantenuti soltanto uomini adatti al combattimento o ai connessi servizi tecnici.
Per questo fatto il personale dei gruppi doveva essere vagliato e distinto in
quattro categorie:
-
personale che avendo tutti i requisiti
doveva essere trattenuto al gruppo;
-
personale che, avendo tutti i requisiti
doveva essere trasferito per esigenze organiche ad altro gruppo;
-
personale da trasferire presso unità che
già si trovavano in servizio presso gli Alleati;
-
personale che doveva essere smobilitato
o perché aveva superato i limiti di età o per altre ragioni.
Se
questi erano i requisiti e se molti ex prigionieri svolsero un ruolo non
secondario nell'attività dei Gruppi di Combattimenti, vuol dire che dalla
prigionia tornarono anche uomini integri nel morale e nel fisico, idonei a
svolgere il ruolo non facile di combattenti.
Inizialmente
a formare i Gruppi di Combattimento dovevano essere le divisioni
"Friuli" e "Cremona ". Successivamente gli Alleati
richiesero la costituzione non di due ma di sei Gruppi di Combattimento. Tale
gruppi, come noto? furono il Folgore, il Legnano, il Cremona, il Friuli, il
Mantova nonché il Piceno che assolse al compito di addestrare ed alimentare gli
altri cinque.
I
sei gruppi dovevano rimanere entro i limiti di forza stabiliti dagli Alleati,
cioè 57000 uomini più un 10% per unità ausiliare e complementi per un totale
complessivo di 62000 uomini.
Oltre
ai gruppi di Combattimento i comandi Alleati chiesero fin dall'ottobre 1943
uomini ed unità che partecipassero al loro sforzo logistico.
Gli
italiani che parteciparono a tale sforzo sono quelli delle unità Ausiliare.[15]
Persistendo
l'atteggiamento alleato di non voler costituire unità da combattimento fino al
luglio 1944, fu giocoforza per i responsabili del nostro Esercito aderire alle
richieste alleate di costituire unità ausiliare. La maggior parte di uomini ed
unità italiani disponibili dall'ottobre 1943 al luglio 1944 fu utilizzata per
la difesa antiarea, per quella costiera, per la sicurezza per i servizi logistici
e per gli enti territoriali nonché per i reparti ausiliari direttamente
impiegati dagli alleati stessi.
Per
questo ultimo caso occorre fare un cenno ai reparti salmerie. Dopo richieste
alleate avanzate in vari momenti, tutte accolte dallo Stato Maggiore del Regio
Esercito, all'inizio del 1944 i reparti salmerie esistenti nell'ambito dell'8 Armata
Britannica vengono raggruppati nel I Gruppo salmerie, quelli della 5a Armata
Britannica nel II Gruppo salmerie ed il colonnello di cavalleria Eugenio Berni
Canani assume l'incarico di Ispettore delle Salmerie con il compito di
sovraintendere a tutti i reparti salmerie operanti nell'ambito della 5a e della
8a Armata.
Oltre
a questo contributo specifico, si può dire che gli Alleati poterono disporre
della manovalanza necessaria degli autieri dei meccanici dei genieri e di ogni
altro servizio loro necessario. Furono costituite la 210a, che fu quella di
riferimento, la 209a, 212a, 227a, 228°, 230a e 231a Divisione Ausiliaria
Italiana. Iniziata la loro formazione dell'ottobre 1943 con un numero di uomini
impiegati pari a 55966 nel dicembre il numero era salito a 94881; nel maggio
successivo a 124388, nel luglio 160991 per arrivare alla punta massima
nell’aprile 1945 di 196000 uomini.[16]
In
totale quindi tra Gruppi di Combattimento ed Unità Ausiliarie gli italiani che
ebbero modo di dare nel loro complesso un valido aiuto alla causa alleata
furono tra le 250000 ed le 260000 unità.
Inoltre
occorre tener presente che il nostro Governo, prima Governo del Sud, poi con la
liberazione di Roma, Governo del Regno d’Italia retto da un Luogotenente, doveva pur mantenere un
minimo di organizzazione territoriale, anche se integrata nell'organizzazione
alleata.
IL
TOTALE DEI MILITARI REDUCI DALLA PRIGIONIA CHE PARTECIPARONO ALLA GUERRA DI
LIBERAZIONE
Abbiamo
a questo punto individuato il totale dei militari italiani che diedero il loro
contributo alla lotta di liberazione nei Gruppi di Combattimento (mediamente 62000)
e nelle unità ausiliarie (con una punta massima nell'aprile 1945 di 196000).
Abbiamo altresì individuato che nel periodo da noi considerato come utile per
partecipare alla guerra di liberazione il totale dei rimpatriati all'aprile del
1945 era pari a 69000 reduci.
Su
un totale di 250000-260000 uomini i reduci disponibili ammontavano a 69000,
ovvero in un rapporto di 1 a 3,5. Ma dopo la prigionia non tutti erano in grado
di poter passare ai gruppi di combattimento o alle unità ausiliare o alla
organizzazione territoriale del nostro esercito.
I
69000 reduci furono così suddivisi, secondo la Relazione del Ministro
Facchinetti già citata:
Gruppi
di Combattimento: 250 ufficiali; 5000 sottufficiali e truppa. Unità ausiliare:
250 ufficiali; 21500 sottufficiali e truppa.
Enti
militari italiani: 300 ufficiali; 1000 sottufficiali e truppa; Carabinieri,
Marina Aeronautica 9000.
Inoltre
furono posti in congedo: 150 ufficiali; 4500 sottufficiali e truppa. I restanti
28000 transitarono per gli ospedali in quanto abbisognevoli di cure e quindi
congedati.[17]
Si
può quindi dedurre che i reduci dalla prigionia che parteciparono alla Guerra
di Liberazione non poterono dare il loro apporto nel Raggruppamento Motorizzato,
al Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.), come già visto, ma diedero il loro
apporto ai Gruppi di Combattimento con 5000 uomini e 250 ufficiali, mentre alle
unità ausiliare il loro apporto fu quattro volte superiore con 21500
sottufficiali e truppa e 250 ufficiali.
Per
i Gruppi di Combattimento la percentuale degli ex prigionieri nelle fila dei
gruppi fu del 10% mentre nelle unità ausiliare, tenendo conto della cifra massima,
si può parlare anche qui di una percentuale che oscilla tra il 10 e il 12%.
Il
contributo invece alla riorganizzazione sul territorio fu di mille tra
sottufficiali e truppa e 300 ufficiali, mentre per la Marina e la Aeronautica
ed i Carabinieri nelle varie loro funzioni fu nel totale di 9 000 uomini.
Le
cifre sopra esposte rilevano la dimensione del contributo, anche per forza di
cose indicativo ed orientativo. Non rilevano però l'aspetto morale nonché spirituale
di tale apporto.[18] Essere passati attraverso il dramma della
prigionia e poi avere la forza fisica e morale di riprendere a combattere o a
dare il proprio apporto di lavoro è stato un aiuto non trascurabile alla
ricostruzione morale e materiale del nostro paese. La libertà non viene mai
concessa, la si deve sempre conquistare. E con il nostro apporto alla guerra
con i Gruppi di Combattimento conquistammo questa libertà; con le unità
ausiliarie, oltre a contribuire allo sforzo bellico alleato, si iniziò a
ricostruire il nostro paese e a risanare il territorio della nostra Patria.
L'esperienza
della prigionia ha, inoltre, una ulteriore valenza che deve essere sottolineata.
Il prigioniero italiano, soprattutto quello in mano inglese ed americana, aveva
potuto seguire per anni, ed ancor più dopo la fine della guerra, una stampa più
libera nonostante le limitazioni della censura di guerra, di quella italiana;
ancor più aveva seguito meglio gli avvenimenti mondiali ed anche interni della
Gran Bretagna, dell'Impero Inglese e degli Stati Uniti. Di conseguenza, non
tanto per quanto aveva subito direttamente o indirettamente, quando per la
constatazione dell'abisso in cui il nostro Paese era stato portato da una
dittatura totalitaria e per l'apprezzamento dei consistenti vantaggi che i
sistemi liberali accorda vano al cittadino, il prigioniero italiano tornava
con sentimenti realmente democratici.
La
grande massa dei prigionieri era assetata di giustizia, eguaglianza, libertà;
voleva anche per il nostro Paese il prevalere di quei principi liberali che
avevano portato le Nazioni Unite alla vittoria; voleva un concreto sviluppo
economico e materiale, sia personale che collettivo. Tornavano con il forte
desiderio di dimenticare al più presto un infelice passato, accompagnato da una
grande e ferrea volontà di impegnarsi a ricostruire prima le proprie fortune,
poi quelle del Paese.
In
questa chiave deve essere intesa la molla che agì in moltissimi prigionieri e
che li portarono a partecipare alla guerra di liberazione prima, ed alla ricostruzione
del Paese poi. L’esperienza della prigionia, triste e dolorosa, sul piano
collettivo presenta questo risvolto positivo e propositivo che occorre ben
sottolineare, anche alla luce dello sviluppo che il nostro paese ebbe negli
anni postbellici.
[1] Rinvio
al riguardo alla relazione del Col. Stefano Romano dal titolo Le fonti e gli
studi degli Uffici Storici sulla Prigionia e sull'Internamento presentata in
questo convegno.
[2] La
Commissione per lo Studio della Resistenza dei Militari Italiani all'Estero è
stata istituita con Decreto del Ministro della Difesa in data 2 Gennaio 1989,
presieduta dal Generale di Corpo d'Armata Ilio Muraca, con il compito di
promuovere la raccolta di tutte le notizie e le testimonianze verbali e scritte
del contributo fornito dalle Forze Armate all'estero negli anni 1943, 1944 e
1945.
[3] Riportata
integralmente in appendice a questi Atti.
[4] Rassegna
della A.N.R.P.; Anno XVI, N. 3 - Marzo 1995; n. 4 Aprile 1995; n. 5 Maggio
1995; n. 6 Giugno-Luglio 1995.
[5] La
bibliografia di riferimento è vastissima. In questa sede si indicano alcuni
testi, per un ampliamento di quanto esposto. In particolare può essere utile
consultare: R. Zangrandi, 1943: 25 Luglio - 8 Settembre, Feltrinelli, Milano,
1964; E. Scala, Storia delle Fanterie Italiane - Le Fanterie nella Seconda
Guerra Mondiale Stato Maggiore dell’Esercito, Ispettorato dell'Arma di
Fanteria, Voi. X, Tipografia Regionale, Roma, 1956; F. Stefani, La Storia della
dottrina e degli ordinamenti dell'Esercito Italiano Stato Maggiore
dell'Esercito, Ufficio Storico, Volume II, Tomo 1°, Roma, 1985; M. Torsiello,
Le operazioni delle unità italiane nel Settembre-Ottobre 1943, Ministero della
Difesa, Stato Maggiore dell'Esercito , Ufficio Storico, Roma , 1975; P. Iuos (a
cura di) Soldati Italiani dopo 118 settembre 1943, Quaderni della F IAP -
Federazione Italiana Associazioni Partigiane n. 1, Roma, 1988; AA.VV. I Gruppi
di Combattimento - Cremona
- Friuli - Folgore - Legnano - Mantova - Piceno,
Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio Storico, Roma
1973.
[6] Fonte:
Relazione sull'attività svolta per il rimpatrio dei prigionieri di guerra ed
internati 1944-1947, Ministero della Guerra - Ufficio Autonomo Reduci da
Prigionia di Guerra e Rimpatriati. D'ora in avanti citata come "Relazione
Ufficio Autonomo".
[7] Relazione
Ufficio Autonomo - Allegato 1 a questo volume.
[8] Per
questo aspetto, vds, tra le fonti, E. Morozzo della Rocca. La politica estera
italiana e l'Unione Sovietica 1944-48 in particolare il cap. “Nella guerra
fredda” in cui si traccia un quadro abbastanza aderente e preciso dei rapporti
Italia -Urss negli anni del dopoguerra.
[9] Il
Centro Studi e Documentazione della A.N.R.P. dedicherà a breve un'apposita
giornata di studio a questo tema.
[10] La
problematica dei prigionieri di guerra ha avuto un ruolo non centrale negli
studi della seconda guerra mondiale. Al riguardo, per un approccio generale,
può essere utile consultare A.M. Arpino, A. Biagini, Le Fonti per la storia
militare italiana in età contemporanea, Atti del III Seminario, Roma 16-17
Dicembre 1988, Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali - Ufficio Centrale
per i Beni Archivistici, Roma, 1993.
[11]
Relazione Ufficio Autonomo, Allegato 6.
[12] G.
Conte, Il Primo Raggruppamento Motorizzato, Ministero della Difesa, Stato
Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma 1974. Inoltre vds, Il Corpo
Italiano di Liberazione, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito,
Ufficio Storico, 1975. A. Riccheza, Qui si parla di voi, Bergamo, 1946; dello
stesso autore, Il Corpo italiano di Liberazione, Milano Museo del Risorgimento,
1693.
[13] Su
questo particolare aspetto vds. M. Coltrinari, Novembre 1944-Gennaio 1945: la
costituzione dei Gruppi di Combattimento, in "Patria Indipendente ",
anno XLIV, numero 1/2, 15-29 Gennaio 1995; dello stesso autore Di fronte alla
linea Gotica, per i gruppi di Combattimento un esame che non finiva mai, in
"Patria Indipendente", anno XLIV, numero 5, 12 marzo 1995.
[14] Vds. I
gruppi di Combattimento op. cit., pag. 57 e seguenti.
[15] Un
quadro esauriente del contributo dei militari italiani cooperatori allo sforzo
logistico degli Alleati si trova in L. Lallio, "Le Unità Ausiliarie
dell'esercito Italiano nella Guerra di Liberazione ", Ministero della Difesa,
Stato Maggiore dell'esercito, Ufficio Storico, Roma, 1977.
[16] Le
cifre complessive delle truppe ausiliarie (comprensive di ufficiali,
sottufficiali e truppa) desunte dalle relazioni mensili compilate a cura
dell'ispettorato delle truppe ausiliarie, per il 1945, sono le seguenti:
-
gennaio 1945: 154 840 (43 660 per le Armate
operanti e 117 170 per le zone arretrate);
-
febbraio 1945: 164 052 (46 959 per le Armate
operanti e 117 093 nelle zone arretrate);
-
marzo 1945: 178 390 (54 632 per le Armate
operanti e 123758 per le zone arretrate);
-
aprile 1945: 196 086 uomini (58 663 con le
Armate operanti e 137 423 per le zone arretrate);
-
maggio 1945: 177
374 uomini;
-
giugno 1945: 164
999 uomini;
-
luglio 1945: 154
829 uomini;
-
agosto 1945: 127
987 uomini;
-
settembre 1945: 91
860 uomini;
-
ottobre 1945: 66
617 uomini;
-
novembre 1945: 31
898 uomini;
-
dicembre 1945: 10
522 uomini. Fonte L. Lolli, op. cit., pag. 143 e segg.
[17] Fonte:
Relazione Ufficio Autonomo, pag. 13.
[18] La
memoralistica in questo campo può essere utile. Valga per tutti il Diario che
Padre Andrea Valsecchi, Cappellano Militare in Albania, internato in Germania e
rientrato nel Novembre 1944 in Italia a seguito di scambi di ammalati dalla
Croce Rossa e dallo Stato del Vaticano, tenne in merito alla organizzazione e
gestione del centro di Pescantina vicino a Verona. Sono pagine dense di umanità
in cui prevalgono i racconti dei prigionieri rientrati dalla Russia dalla
Germania e dalla Balcania.
Vds: P. Andrea Valsecchi, Diario, Archivio Coremite,
Vol. 50.