Scrive Piero Pieri1
“Una storia della guerra nostra, della grande guerra nazionale, deve sopra ogni cosa tener presente lo stato d’animo del popolo che tutto dava senza nulla chiedere e senza vedere il compenso prossimo, privo di quel sostegno e quel conforto che veniva dalla consapevolezza della santità della causa, della cultura, della tradizione; ed è merito altissimo e particolare del Museo milanese del Risorgimento d’aver posto a base della sua cospicua raccolta di documenti lo studio psicologico del soldato italiano, che è quando dire il popolo italiano; ossia d’aver fin dagli inizi esattamente compreso e valutato il carattere della conflagazione, fornendo i mezzi necessari a ricostruirla fuori della retorica e della fantasticheria. Perciò esso ha volto la sua attenzione anche ad un lato triste della guerra, e che pure in una lotta di milioni di combattenti ha assunto proporzioni impensate. Quello dei prigionieri di guerra e della loro varia e tragica sorte. In un conflitto così gigantesco anche le perdite degli eserciti in prigionieri sono state proporzionalmente grandissime: centocinquantamila già ne aveva l’Italia all’ottobre 1917; poi be duecentonavantaseimila ne costò la ritirata dall’Isonzo al Piave, così che per il momento parve dimezzata (se si tiene conto del grande numero dei dispersi all’interno) quanto a numero e mezzi l’efficienza combattiva dell’esercito; ed altri cinquantamila si dovettero lamentare nel 1918. In tutto mezzo milione di uomini, di cui un quarto morì di fame e di stenti negli orribili campi o in estenuanti lavori nelle retrovie e sui Carpazi: pagina triste e impressionante e ancor troppo poco nota. Eppure anche qui si ebbero episodi caratteristici e gloriosi: tentativi di fuga a volte eroici ed abilissimi, e soprattutto nei campi degli ufficiali non mancò lo sforzo di rendere la vita meno triste e più decorosa. Sia al cospetto della collettività italiana stessa, che di fronte al nemico attraverso intelligenti e geniali iniziative ed organizzazioni. Al tempo stesso il servizio di informazioni e di soccorso ai prigionieri ed alle loro famiglie, rappresenta pure un aspetto nuovo della guerra, un fatto in gran parte imprevisto, un alto e diverso compito per la nazione all’interno. Lo studio poi della psicologia del prigioniero, interessante sempre come fenomeno individuale, diventa più che mai degno di attenzione quando riguarda la psicologia d’intere masse che vennero a trovarsi in situazione tragiche ed alle quali non erano state per l’addietro punto preparate
1 Piero Pieri, nato a Sondrio nel 1893 allo scoppio della guerra era studente di lettere alla Normale di Pisa. Interventista, segui il corso di allievo ufficiale di complemento e, chiamato alle armi nel 1915 combattè in prima linea per due anni negli Alpini, riportando una ferita, una medaglia d’argento ed una di bronzo. A fine ottobre 1917, comandante di una compagnia alpina di mitraglieri nella zona di Caporetto, fu fatto prigioniero. Passò attraverso vari campi di prigionia cercando sempre di fuggire e finì in un campo di punizione dopo il fallimento del tentativo di evasione dal campo di Aschash sul Danubio. Fu congedato nel 1919.
Nessun commento:
Posta un commento