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giovedì 14 gennaio 2021

La Battaglia di Adua. Le ripercussioni sulla politica italiana

 


Le perdite dei reparti indigeni non sono esattamente valutabili ma furono certamente gravi. Alcune fonti parlano di 2800 ascari eritrei: 1000 caduti, 1000 feriti, il resto, destinato ad una triste sorte, prigionieri.

 Fu perduta tutta l’artiglieria (56 cannoni) e in più 11.000 fucili e gran parte delle munizioni, vettovaglie, cavalli e salmerie! I Prigionieri Nazionali furono circa 1900, mentre altre fonti parlano di 2000 ed 800 fra le Truppe Coloniali. Soprattutto crudele fu la sorte di questi nostri soldati coloniali: infatti gli Etiopi furono particolarmente crudeli con gli ascari eritrei e trigrini caduti nelle loro mani. Ai prigionieri furono tagliati la mano destra ed il piede sinistro per impedir loro di montare a cavallo per il resto della loro vita. Delle perdite abissine, si hanno solo vaghe stime: 3500-12.000 morti e 7.500-24.000 feriti, ma gli italiani, in rotta, non fecero prigionieri. L’onta di Adua costò all’Italia 200 milioni di lire di allora, pari a 1350 miliardi d’oggi (700 milioni di Euro), ma allora le guerre coloniali si combattevano con poche decine di migliaia di armati, anche indigeni, cavalli, muli e cannoni! [1]

 

Nel mese di maggio viene data sepoltura a 3025 nostri caduti, 1500 dei quali fuori del campo di battaglia, per lo più in fuga senza scarpe e mal camuffati da indigeni col panico d’essere catturati e magari evirati! Baratieri, sostituito da Baldissera, viene processato per incapacità, con un giudizio-farsa assolutorio che chiude la sua carriera. Il 18 giugno cessa lo stato di guerra e il 26 ottobre viene firmata la Pace di Addis Abeba: l’Italia tiene Massaua, la fascia costiera e rinuncia al protettorato. L’anno seguente verrà costituita la Colonia Eritrea. La sorte dei prigionieri italiani in mano al Negus fu per il momento accantonata, ancora essendo viva la delusione e l’irritazione per la sconfitta: infatti nelle guerre coloniali era la prima volta che un Esercito Europeo composto da bianchi subisse una sconfitta così pesante.  Il disastro di Adua contribuì a formare ulteriori perplessità consistenti sulle capacità dei militari e ne mise in discussione il ruolo in una società all’interno della quale la loro immagine non aveva per la verità mai goduto di grande prestigio.[2] La vicenda dei prigionieri militari italiani lasciati in mano ai etiopi non contribuì a migliorare la situazione. Caduto il precedente governo, fu nominato il 14 il nuovo governo, dimissionario il precedente il 11 luglio 1896. Ministro della Guerra fu Luigi Pelloux, appena nominato senatore, uno dei più convinti assertori del non intervento italiano in Africa. Alla Presidenza ed all’Interno fu confermato Di Rudinì. Il 21 luglio 1986 alla Camera  il Di Rudinì sottolineo che a questione dei prigionieri era di estremo interesse per il Governo e che nulla rimaneva intentato per risolverla[3] sottolineando, peraltro, che non si poteva giungere ad una nuova guerra per liberare i prigionieri. La vicenda dei Prigionieri divenne, in quegli anni certo non facili uno dei motivi di scontro tra le varie componenti politiche del tempo. Nel frattempo la detenzione presso il Negus non certo favoriva una soluzione a breve.



[1] Bellavista E., La Battaglia di Adua I precedenti – La battaglia – le conseguenze (1881 –1931), Genova, Fratelli Melita Editori, 1931.

[2] Sarà del 1896 la repressione violenta, con l’uso anche dei cannoni delle manifestazioni popolari a Milano da parte del gen. Bava Beccarsi che acuì ancora di più lo scollamento fra Esercito e Nazione.

[3] “...la questione dei prigionieri interessa in sommo grado tutto il Ministero e per conto mio dichiaro che questa è la spina più dolorosa che ci sia in tutta la questione africana”…..Il Governo ha fatto tutto quanto era possibile, non solo per essere informato del numero, della quantità e dello stato dei prigionieri, ma benanco per far giungere loto tutti i soccorsi possibili, ed ha fatto anche tutto quello che era possibile per riprendere i contatti coll’imperatore Menelik inviando il maggiore Nezzarini a Zeila collo scopo di mettersi in rapporto con questi di conoscere le sue intenzioni relative ai prigionieri e di fare le trattative perché essi siano liberati”.

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