Le perdite dei reparti indigeni non sono esattamente
valutabili ma furono certamente gravi. Alcune fonti parlano di 2800 ascari eritrei: 1000 caduti, 1000
feriti, il resto, destinato ad una triste sorte, prigionieri.
Fu perduta tutta
l’artiglieria (56 cannoni) e in più 11.000 fucili e gran parte delle munizioni,
vettovaglie, cavalli e salmerie! I Prigionieri Nazionali furono circa 1900,
mentre altre fonti parlano di 2000 ed 800 fra le Truppe Coloniali. Soprattutto
crudele fu la sorte di questi nostri soldati coloniali: infatti gli Etiopi
furono particolarmente crudeli con gli ascari eritrei e trigrini caduti nelle
loro mani. Ai prigionieri furono tagliati la mano destra ed il piede sinistro
per impedir loro di montare a cavallo per il resto della loro vita. Delle
perdite abissine, si hanno solo vaghe stime: 3500-12.000 morti e 7.500-24.000
feriti, ma gli italiani, in rotta, non fecero prigionieri. L’onta di Adua costò all’Italia 200 milioni di lire di allora,
pari a 1350 miliardi d’oggi (700 milioni di Euro), ma allora le guerre
coloniali si combattevano con poche decine di migliaia di armati, anche
indigeni, cavalli, muli e cannoni! [1]
Nel
mese di maggio viene data sepoltura a 3025
nostri caduti, 1500 dei quali
fuori del campo di battaglia, per lo più in fuga senza scarpe e mal camuffati
da indigeni col panico d’essere catturati e magari evirati! Baratieri,
sostituito da Baldissera, viene processato per incapacità, con un
giudizio-farsa assolutorio che chiude la sua carriera. Il 18 giugno cessa lo
stato di guerra e il 26 ottobre viene firmata la Pace di Addis Abeba: l’Italia tiene Massaua, la fascia costiera e
rinuncia al protettorato. L’anno seguente verrà costituita la Colonia Eritrea. La sorte dei prigionieri
italiani in mano al Negus fu per il momento accantonata, ancora essendo viva la
delusione e l’irritazione per la sconfitta: infatti nelle guerre coloniali era
la prima volta che un Esercito Europeo composto da bianchi subisse una
sconfitta così pesante. Il
disastro di Adua contribuì a formare ulteriori perplessità consistenti sulle
capacità dei militari e ne mise in discussione il ruolo in una società
all’interno della quale la loro immagine non aveva per la verità mai goduto di
grande prestigio.[2] La vicenda dei
prigionieri militari italiani lasciati in mano ai etiopi non contribuì a
migliorare la situazione. Caduto il precedente governo, fu nominato il 14 il
nuovo governo, dimissionario il precedente il 11 luglio 1896. Ministro della
Guerra fu Luigi Pelloux, appena nominato senatore, uno dei più convinti
assertori del non intervento italiano in Africa. Alla Presidenza ed all’Interno
fu confermato Di Rudinì. Il 21 luglio 1986 alla Camera il Di Rudinì sottolineo che a questione dei
prigionieri era di estremo interesse per il Governo e che nulla rimaneva
intentato per risolverla[3] sottolineando,
peraltro, che non si poteva giungere ad una nuova guerra per liberare i prigionieri.
La vicenda dei Prigionieri divenne, in quegli anni certo non facili uno dei
motivi di scontro tra le varie componenti politiche del tempo. Nel frattempo la
detenzione presso il Negus non certo favoriva una soluzione a breve.
[1] Bellavista E., La
Battaglia di Adua I precedenti – La battaglia – le conseguenze (1881 –1931),
Genova, Fratelli Melita Editori, 1931.
[2]
Sarà del
1896 la repressione violenta, con l’uso anche dei cannoni delle manifestazioni
popolari a Milano da parte del gen. Bava Beccarsi che acuì ancora di più lo
scollamento fra Esercito e Nazione.
[3] “...la questione
dei prigionieri interessa in sommo grado tutto il Ministero e per conto mio
dichiaro che questa è la spina più dolorosa che ci sia in tutta la questione
africana”…..Il Governo ha fatto tutto quanto era possibile, non solo per essere
informato del numero, della quantità e dello stato dei prigionieri, ma benanco
per far giungere loto tutti i soccorsi possibili, ed ha fatto anche tutto
quello che era possibile per riprendere i contatti coll’imperatore Menelik
inviando il maggiore Nezzarini a Zeila collo scopo di mettersi in rapporto con
questi di conoscere le sue intenzioni relative ai prigionieri e di fare le
trattative perché essi siano liberati”.
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