Il problema dei prigionieri in mani avversarie si
verificò, per l’Esercito Italiano, nelle guerre coloniali, cioè in Africa
Orientale dopo la battaglia di Adua, e in Libia per i non numerosi detenuti da
forze turco – arabe o senussite. Tutto cominciò con l’armatore Rubattino che,
dopo il taglio del Canale di Suez (1867), acquistò i diritti di scalo ad Assab e
li rivendette all’Italia (1882). Seguì l’occupazione italiana del porto di
Massaua (1885), primo possedimento italiano in Africa, poi dell’Eritrea e della
Somalia (1887-89). Il 2 maggio 1889 si installa il protettorato italiano
sull’Abissinia e Menelik II diventa, con l’appoggio italiano, Negus Negesti, ma ringrazierà l’Italia dichiarandole guerra!
Dopo massacri di truppe italiane a Dogali (nel 1887,
con 500 caduti) e all’Amba Alagi
(nel 1895, con 3000 caduti), il 1 marzo 1896 il gen. Baratieri, è travolto
nella battaglia di Adua per errori strategici e
sottovalutazione del coraggio e delle forze nemiche, ritenute di 30.000
guerrieri e che invece impegnarono quasi 140.000 guerrieri, con un largo
seguito di servi e familiari.
Roma apprenderà la sconfitta da questo laconico
messaggio: “Attacco scioano impetuoso,
avvolgente destra sinistra, obbligò truppe ritirata che presto prese aspetto di
rovescio. Tutte le batterie di montagna cadute in mano del nemico”. Crispi
si dimette mentre in tutta Italia scoppiano tumulti, anche con grida di “Viva Menelik!”,
rafforzando le opposizioni popolari.
Su una forza complessiva di 107.400 uomini
disponibili in colonia, alla Battaglia di Adua parteciparono 9837 soldati e 571
Ufficiali. I caduti furono 3772 soldati (39% della Forza) e 262 Ufficiali (46%
della forza) fra le truppe nazionali. Altre fonti parlano di 4900 Caduti di cui
289 ufficiali, con 500 feriti.
Massimo coltrinari ( ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org)
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