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giovedì 21 gennaio 2021

La Battaglia di Adura e i prigionieri italiani in mano etiope.

 


I 1.900/2000 prigionieri Italiani, furono quasi da subito assegnati ai vari capi, seguirono la ritirata delle forze del Negus in difficilissime condizioni; queste, poi migliorarono con il passare delle settimane e dei mesi e divennero accettabili con la firma del Trattato di pace e nel complesso finirono per avere un trattamento umano compatibilmente con gli usi e le possibilità locali. Il loro trattamento e la loro vita era in realtà, assicurata, dalla volontà del Negus di disporre di una merce di scambio per ottenere condizioni soddisfacenti di sicurezza e guadagno. Il Negus in un primo momento, peraltro, aveva fatto conoscere la sua intenzione di liberare i prigionieri italiani con il semplice riscatto. Un’azione risoluta e chiara delle nostre autorità avrebbero già all’inizio dell’estate del 1896 risolto il problema dei prigionieri.

Questa notizia, arrivata prima a Massaia e poi in Italia fece si che si presero varie iniziative, tutte private, per porre fine alla prigionia. Il Governo organizzò una Missione ufficiale che fu affidata al maggiore Nerazzini. Questi il 10 settembre giungeva all’Harrar e qui si incontrava con Ras Maconnen accolto con grandi onori.

Oltre alla missione governativa, si misero in essere due altre missioni, di  carattere umanitario, che non poco irritarono il Governo e le Autorità in genere per il loro indiretto carattere antistatale . Una promossa dal Comitato delle Dame Romane,  con alla guida da Padre Oudin; l’altra dal Padre Macario, inviato dal Pontefice Leone XIII.[1]

 

Le due missioni umanitarie fallirono, e, da come si può dedurre dalla risposta di  Menelik, vedendo come si sviluppava la questione dei prigionieri  in Italia, aveva cambiamo atteggiamento: da un semplice riscatto volto a fare denaro, voleva anche dei vantaggi politici.

A Papa Leone XIII, sostanzialmente Menelik diede una risposta negativa in quanto ormai considerava la questione dei prigionieri una delle sue migliori carte per addivenire ad un Trattato di Pace con l’Italia. Durante le  trattative di queste missioni si svolse il caso curioso dei 50 prigionieri italiani offerti in dono allo zar Nicola II che li girò all’Italia e degli altri due simbolicamente offerti a mons. Cirillo Macario, inviato di Papa Leone XIII che aveva chiesta invano la liberazione di tutti i prigionieri: iniziativa che solleverà ancor più problemi ed irritazione nell’Italia laica e monarchica.

In questi frangenti i prigionieri sono stati usati come pedine sulla scacchiera delle relazioni tra le Nazioni, non titolari di diritti ne tanto mento di superiori interessi umanitari. Monsignor Camillo Macario, nonostante che la sua missione fosse fallita, rientro portando con se un elenco contenete i nomi e tutti i dati più significativi relativo a 1145 prigionieri italiani, di cui 50 ufficiali 51 sottufficiali e 1044 soldati.  L’elenco non comprendeva circa 150 prigionieri che erano trattenuti nell’Harrar. Di questi non si conosceva il nome. Fallite le due missioni umanitarie, quella governativa, avendo capacità di fare delle concessioni politiche, ebbe successo.

Il trattato di pace fra l’Italia e l’Etiopia fu stipulato il 26 ottobre 1896. Nel trattato furono aggiunte clausole minori, tra cui il rilascio, tramite convenzione,  dei prigionieri in mano etiope.



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