I 1.900/2000
prigionieri Italiani, furono quasi da subito assegnati ai vari capi, seguirono
la ritirata delle forze del Negus in difficilissime condizioni; queste, poi
migliorarono con il passare delle settimane e dei mesi e divennero accettabili
con la firma del Trattato di pace e nel complesso finirono per avere un
trattamento umano compatibilmente con gli usi e le possibilità locali. Il loro
trattamento e la loro vita era in realtà, assicurata, dalla volontà del Negus
di disporre di una merce di scambio per ottenere condizioni soddisfacenti di
sicurezza e guadagno. Il Negus in un primo momento, peraltro, aveva fatto
conoscere la sua intenzione di liberare i prigionieri italiani con il semplice
riscatto. Un’azione risoluta e chiara delle nostre autorità avrebbero già
all’inizio dell’estate del 1896 risolto il problema dei prigionieri.
Questa notizia, arrivata prima a Massaia
e poi in Italia fece si che si presero varie iniziative, tutte private, per
porre fine alla prigionia. Il Governo organizzò una Missione ufficiale che fu
affidata al maggiore Nerazzini. Questi il 10 settembre giungeva all’Harrar e
qui si incontrava con Ras Maconnen accolto con grandi onori.
Oltre alla missione governativa, si
misero in essere due altre missioni, di
carattere umanitario, che non poco irritarono il Governo e le Autorità
in genere per il loro indiretto carattere antistatale . Una promossa dal
Comitato delle Dame Romane, con alla
guida da Padre Oudin; l’altra dal Padre Macario, inviato dal Pontefice Leone XIII.[1]
Le due missioni umanitarie fallirono, e,
da come si può dedurre dalla risposta di
Menelik, vedendo come si sviluppava la questione dei prigionieri in Italia, aveva cambiamo atteggiamento: da
un semplice riscatto volto a fare denaro, voleva anche dei vantaggi politici.
A Papa Leone
XIII, sostanzialmente Menelik diede una risposta negativa in quanto ormai
considerava la questione dei prigionieri una delle sue migliori carte per
addivenire ad un Trattato di Pace con l’Italia. Durante le trattative di queste missioni si svolse il
caso curioso dei 50 prigionieri italiani offerti in dono allo zar Nicola II che
li girò all’Italia e degli altri due simbolicamente offerti a mons. Cirillo
Macario, inviato di Papa Leone XIII che aveva chiesta invano la liberazione di
tutti i prigionieri: iniziativa che solleverà ancor più problemi ed irritazione
nell’Italia laica e monarchica.
In questi frangenti i prigionieri sono
stati usati come pedine sulla scacchiera delle relazioni tra le Nazioni, non
titolari di diritti ne tanto mento di superiori interessi umanitari. Monsignor
Camillo Macario, nonostante che la sua missione fosse fallita, rientro portando
con se un elenco contenete i nomi e tutti i dati più significativi relativo a
1145 prigionieri italiani, di cui 50 ufficiali 51 sottufficiali e 1044 soldati. L’elenco non comprendeva circa 150
prigionieri che erano trattenuti nell’Harrar. Di questi non si conosceva il
nome. Fallite le due missioni umanitarie, quella governativa, avendo capacità
di fare delle concessioni politiche, ebbe successo.
Il trattato di
pace fra l’Italia e l’Etiopia fu stipulato il 26 ottobre 1896. Nel trattato
furono aggiunte clausole minori, tra cui il rilascio, tramite convenzione, dei prigionieri in mano etiope.
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