Come
se tutto questo non bastasse, alla mala accoglienza si aggiunge il dileggio:
Le “Figarò” nell’estate del 1899 pubblica,
in merito al comportamento dei prigionieri in mano Etiope una corrispondenza
che suscitò molte polemiche. Questa era del seguente tenore
“Adis
Abeba 21 aprile 1887. … Sono costretto a dire che io sono non già indignato ma
semplicemente stomacato di ciò che apprendo ogni giorno sul conto loro (de i
prigionieri). Per rispetto verso una nazione colla quale abbiamo avuto un’ora
di amicizia (1859) io tacerei se gli Italiani non avessero tenuto a nostro
riguardo la condotta più biasimevole. Non hanno confessato essi medesimi che se
fossero entrati vittoriosi in Addis Abeba non avrebbero dato quartiere a nessun
Francese, neppure ai commercianti…? Essi sono venuti da prigionieri alla
capitale ma sembra che non se ne diano per intesi; alcuni Ufficiali non hanno
esitato a prendere parte alle feste anniversarie della Battaglia di Adua; altri
portavano ai polsini in forma di bottoni monete con l’effige di Menelik. Non è
l’Albertone stesso che facendo dei brindisi alla salute del grande Imperatore,
si voltò verso uno dei nostri compatrioti per dirgli “Vi pare che siamo
cortesi? ” a cui il Francese rispose: “Signore io non ho mai veduto un Francese
bere alla salute dell’Imperatore Guglielmo…”
Appena questa corrispondenza fu letta in
Italia, divamparono le polemiche. Il Generale Albertone, direttamente chiamato
in causa smentì con un intervento sulla “Tribuna”. In questa replica Albertone
spiegò che dopo la firma del trattato di pace tra l’Italia e l’Abissinia,
alcuni ufficiali, ormai liberi ed in attesa di rimpatrio, fra i quali
l’Albertone furono invitati dal Negus ad un banchetto. Al termine del quale
l’Albertone fece un brindisi per ricordare a tutti la ormai ristabilita pace
tra i due popoli. L’Albertone conclude il suo articolo con la seguente nota:
“Ripugnami
il credere che la lettera pubblicata dal “Figaro” sia del Principe di Orleans.
Essa costituisce un atto che non è né da gentiluomo né da galantuomo.”
Gli
Ufficiali reduci dalla prigionia, a Firenze, si riunirono in un Comitato e
mandarono lettere di protesta. Altre lettere di protesta furono inviate al
“Figarò”. Entro nella faccenda anche Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta, conte
di Torino. In breve il Principe d’Orleans si trovò sfidato, secondo l’uso del
tempo sia dal Conte di Torino che dall’Albertone. Ebbe la precedenza Vittorio
Emanuele e la stampa nazionale sottolineò con soddisfazione che un principe del
sangue si esponesse per difendere l’onore di tutto l’Esercito.
Il
duello si tenne il 15 agosto a Veneresson. Fu un duello accanito ed alla fine e
l’Orleans fu ferito prima alla spalla poi all’addome. I medici posero fine allo
scontro e i due avversari si strinsero la mano.
“L’impressione a
Parigi fu immensa. La stampa francese fu però quasi unanime a dedicare parole
assai benevoli al valoroso Conte di Torino, mentre il Daily Chronicle fece giustamente rilevare fu doppiamente coraggioso perché
sapeva di non affrontare soltanto un nemico ma di assumere una responsabilità
enorme di fronte all’Italia”[1]
Al
suo ritorno a Torino il Conte fu salutato e festeggiato. Vi partecipò anche
Giosuè Carducci con un breve scritto. Sulle vicende dei 1900 /2000 prigionieri
italiani di Adua, ed il fatto che non si
sia riusciti ancora a stabilire l’esatto numero dei prigionieri italiani in
mano al Negus[2], calerà negli anni a venire il silenzio,
nemmeno rotto dai fasti ed imprese della Guerra d’Etiopia, calerà l’omertà dei
politici, dei militari, dei reduci e il silenzio stampa, ciascuno per proprie
ragioni. La principale rimane quella che i prigionieri di guerra sono da sempre
i capri espiatori e i testimoni imbarazzanti degli errori dei capi, scaricati
su di loro con l’accusa di codardia.
[1] Bellavita E., La
Battaglia di Adua, cit.,
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