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giovedì 6 novembre 2014

Le Porte della Memoria. 1. L'Editoriale

Sergio Pivetta ed altri si erano offerti per la stesura dell'Editoriale, che in ogni caso doveva essere il risultato di una riunione della Direzione sui temi scelti per il numero della Rivista


EDITORIALE



Disegniamo il nostro futuro aprendo le”Porte della memoria”

La data anniversaria degli avvenimenti del 1943 impone delle riflessioni e delle scelte. Celebrare il 70° anniversario di quanto è successo in quella calda estate del 1943 è doveroso, ma occorre fare molta attenzione. Il trascorrere del tempo fa constatare che i protagonisti o non di quegli anni sono tutti appartenenti alla classe del 1925,  indietro, ovvero sono oltre i navata anni di età, con le dovuto eccezioni.

Con queste eccezioni possiamo guadagnare altri cinque-sei classi, ma non di più. La media è, quindi, sui 88-90anni, con l’eccezione per una fascia, che scende verso gli 84-86. Sono numeri crudi, ma reali. Il trend, naturalmente è a scendere, ovvero ogni anno, ogni mese siamo sempre di meno. Quando celebreremo il 70° anniversario della fine della seconda guerra mondiale nel 2015 saremo ancora meno.

Su questi dati la mia riflessioni è questa. Appartenendo alla classe dal 1925 indietro, ed avendo fatto la guerra di Liberazione, dalla “a” alla “zeta”, intorno a me vedo sempre più sparuto il gruppo di quelli che sono come me. Così per chi è stato in prigionia, chi è stato Internato, chi ha fatto il  Partigiano. Ora pensare che questi gruppi sparuti di superstiti possano dare vita ad un associazionismo di qualsiasi natura è semplicemente andare contro la realtà. L’associazionismo aveva un senso fino agli anni ottanta quando numero e forza erano dalla nostra parte. Oggi non ha più senso. Voler tener in vita ad ogni costo l’’Associazione significa essere messi da parte prima del tempo, ma soprattutto significa annacquare  la nostra testimonianza, diluirla nel mare della nostra volontà di no riconoscere una realtà.

Se ci mettiamo accanto a chi è nato dopo il 1945, in un associazionismo che è forza solo in apparenza, che senso ha la nostra testimonianza, il nostro esempio. Da “paro a paro”, usando un motto in vigore ai miei tempi quando ero sotto le armi, in una associazione in cui siamo con gli stessi diritti e gli stessi doveri,  a fianco di ventenni, trentenni quarantenni, cinquantenni ed oltre, siamo perdenti. Perdenti perche sono le generazioni “future” quelle per cui noi abbiamo combattuto, sofferto, patito, in nome di una Italia migliore e diversa.

Quindi mi permetto di non condividere la scelta di aprire le associazioni combattentistiche a simpatizzanti; fino a che si era aperto ai familiari, nulla da eccepire, in quanto tutto si condivide con i parenti stretti. Ora aprire  o avere già aperto agli estranei, a coloro che molto lodevolmente  ci hanno in simpatia può essere una buona cosa, ma non si può condividere sul piano dell’impegno e della testimonianza.  

Credo che ormai occorra abbandonare ogni forma di associazionismo e passare a forme di aggregazione, che potremo studiare, ove la nostra presenza abbia un significato ed un valore pregnante, ove i nostri diritti e la nostra testimonianza siano valutati e considerati secondo quanto valgono. Ove il nostro agire non marci allo stesso passo di chi rappresenta il frutto del nostro impegno e della nostra scelta. Vogliamo essere noi stessi, nel nostro essere, ieri come oggi.

Si aprano, quindi, senza alcun timore, le “Porte della Memoria” affinchè possiamo, nello spirito con cui è stata avviata questa rivista, possiamo disegnare, da protagonisti, noi della Guerra di Liberazione, Noi Internati, Noi Deportati, Noi Partigiani, il nostro futuro.  


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