Sergio Pivetta ed altri si erano offerti per la stesura dell'Editoriale, che in ogni caso doveva essere il risultato di una riunione della Direzione sui temi scelti per il numero della Rivista
EDITORIALE
Disegniamo il nostro futuro aprendo
le”Porte della memoria”
La
data anniversaria degli avvenimenti del 1943 impone delle riflessioni e delle
scelte. Celebrare il 70° anniversario di quanto è successo in quella calda
estate del 1943 è doveroso, ma occorre fare molta attenzione. Il trascorrere
del tempo fa constatare che i protagonisti o non di quegli anni sono tutti appartenenti
alla classe del 1925, indietro, ovvero
sono oltre i navata anni di età, con le dovuto eccezioni.
Con
queste eccezioni possiamo guadagnare altri cinque-sei classi, ma non di più. La
media è, quindi, sui 88-90anni, con l’eccezione per una fascia, che scende
verso gli 84-86. Sono numeri crudi, ma reali. Il trend, naturalmente è a
scendere, ovvero ogni anno, ogni mese siamo sempre di meno. Quando celebreremo
il 70° anniversario della fine della seconda guerra mondiale nel 2015 saremo
ancora meno.
Su
questi dati la mia riflessioni è questa. Appartenendo alla classe dal 1925
indietro, ed avendo fatto la guerra di Liberazione, dalla “a” alla “zeta”,
intorno a me vedo sempre più sparuto il gruppo di quelli che sono come me. Così
per chi è stato in prigionia, chi è stato Internato, chi ha fatto il Partigiano. Ora pensare che questi gruppi
sparuti di superstiti possano dare vita ad un associazionismo di qualsiasi
natura è semplicemente andare contro la realtà. L ’associazionismo aveva un senso fino
agli anni ottanta quando numero e forza erano dalla nostra parte. Oggi non ha
più senso. Voler tener in vita ad ogni costo l’’Associazione significa essere
messi da parte prima del tempo, ma soprattutto significa annacquare la nostra testimonianza, diluirla nel mare
della nostra volontà di no riconoscere una realtà.
Se
ci mettiamo accanto a chi è nato dopo il 1945, in un associazionismo
che è forza solo in apparenza, che senso ha la nostra testimonianza, il nostro
esempio. Da “paro a paro”, usando un
motto in vigore ai miei tempi quando ero sotto le armi, in una associazione in
cui siamo con gli stessi diritti e gli stessi doveri, a fianco di ventenni, trentenni quarantenni,
cinquantenni ed oltre, siamo perdenti. Perdenti perche sono le generazioni
“future” quelle per cui noi abbiamo combattuto, sofferto, patito, in nome di
una Italia migliore e diversa.
Quindi
mi permetto di non condividere la scelta di aprire le associazioni
combattentistiche a simpatizzanti; fino a che si era aperto ai familiari, nulla
da eccepire, in quanto tutto si condivide con i parenti stretti. Ora
aprire o avere già aperto agli estranei,
a coloro che molto lodevolmente ci hanno
in simpatia può essere una buona cosa, ma non si può condividere sul piano
dell’impegno e della testimonianza.
Credo
che ormai occorra abbandonare ogni forma di associazionismo e passare a forme
di aggregazione, che potremo studiare, ove la nostra presenza abbia un
significato ed un valore pregnante, ove i nostri diritti e la nostra
testimonianza siano valutati e considerati secondo quanto valgono. Ove il
nostro agire non marci allo stesso passo di chi rappresenta il frutto del nostro
impegno e della nostra scelta. Vogliamo essere noi stessi, nel nostro essere,
ieri come oggi.
Si
aprano, quindi, senza alcun timore, le “Porte della Memoria” affinchè possiamo,
nello spirito con cui è stata avviata questa rivista, possiamo disegnare, da
protagonisti, noi della Guerra di Liberazione, Noi Internati, Noi Deportati,
Noi Partigiani, il nostro futuro.
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