Una di queste, e quella più interessante, è Palmiro Togliatti, che oltre al ruolo che ebbe nella vicenda dei prigionieri italiani[1], sul finire del 1942 e primavera del 1943 ed anche dopo fino al rientro in Italia all’inizio del 1944, con lo predomino di Ercole Ercoli, teneva le trasmissioni di Radio Mosca in lingua Italiana per l’Italia, che venivano captate ed ascoltate, anche se era proibito, nel nostro Paese.
In queste trasmissioni si svolgeva ampia opera di propaganda e spesso i toni erano estremi, data la situazione, volte tutto a fiaccare il fronte interno ed esaltare le vittorie e le imprese dell’Armata Rossa e della Urss. Nella trasmissione del 5 marzo 1943 Togliatti annunciò che i prigionieri italiani, a seguito della offensiva sovietica sul Don, erano 40.000. In una trasmissione successiva, 14 marzo 1943, in cui esaltava l’opera e l’azione dell’Armata Rossa annunciò che i prigionieri italiani erano 85.000. Infine in quella del 19 marzo 43 che il totale dei caduti e dei prigionieri italiani erano oltre 115 mila.
I contenuti di queste trasmissioni furono raccolti, da parte di Palmiro Togliatti, in un volume destinato ai comunisti italiani ed edito a Mosca nel 1943; poi con il pseudonimo di Mario Correnti e con il titolo di “Italiani ascoltate Radio Mosca” edito in Italia nel 1945.
Quindi per Palmiro Togliatti, che sicuramente aveva i dati dallo Stato Maggiore Sovietico, il numero dei caduti e dei Prigionieri Italiani al termine della ritirata erano circa 115.000. Un dato certamente propagandistico, ma che poteva ben fare effetto sulla pubblica opinione italiana, che però rispecchia una situazione fortemente inficiata dalla propaganda di guerra.
Altra fonte coeva è il giornale “L’Alba” che veniva stampato a Mosca per i nostri prigionieri nel quadro della cornice psicologica di indebolimento morale e motivazionale del prigioniero volta a conquistare i soldati italiani alle idee socialiste. Tale giornale in data 10 febbraio 1943 informava:
“…dal 16 al 30 dicembre 1942 le Divisioni “Cosseria”, “Pasubio”, “Torino”, “Sforzesca” “Celere” furono disperse. Più di 50 mila unità tra Ufficiali e soldati italiani vennero fatti prigionieri.
Nel gennaio le Divisioni “Julia”, “Tridentina” e “Cuneense” e la 156° Divisione di Fanteria (che in realtà era la Divisione “Vicenza”) sono state a loro volta disfatte sul fronte di Veronez ed altri 33 mila soldati ed ufficiali sono stati fatti prigionieri”.
In un numero successivo, in data 20 febbraio 1943, “L’Alba” affermava “circa 50 mila soldati italiani sono morti in Russia e quasi 80 mila sono stati fatti prigionieri dall’Unione Sovietica”.
Anche se si tiene conto dei fini prettamente propagandistici del Giornale, che in quel periodo mirava a fiaccare le motivazioni e le convinzioni del soldato italiano in prigionia, queste fonti possono essere accettate come riferimento. I caduti ed i prigionieri italiani caduti in mano ai sovietici erano sull’ordine di 130.000 di cui 80 mila prigionieri per “L’Alba”, mentre Togliatti nelle sue trasmissioni arriva a dare la cifra fra Caduti e prigionieri di 115 mila unità .
Una terza fonte, da ultimo, che si può citare, è indiretta. Secondo il gen. Geloso, che fu liberato dalla Armata Rossa nel luglio del 1945 da un lager tedesco, un capitano russo ebbe a dichiarare che i prigionieri italiani catturati in Russia aumentavano a 60/80 mila unità[2].
Dalle fonti coeve quindi, le perdite in Russia sono sull’ordine di 130.000, 115.000 uomini persi, di cui 80.000, o 60/80.000 fatti prigionieri.
Nonostante che fossero disponibili queste fonti di provenienza “comunista”, nel 1946, non se ne tenne conto, sia perché fortemente provenienti da fonte ideologizzata; infatti non bisogna dimenticare che sono gli anni della guerra fredda, dello scontro ideologico e quindi in un clima alieno da ogni analisi pacata e raziocinante.
I dati ufficiali risalgono quindi, al 1946, ma la cifra ufficiale indicata per i mancanti all'appello risente fortemente di quanto detto sopra: pochi i dati certi, per quelli disponibili per forza di cose non si dava una articolazione precisa. Quindi la cifra globale degli assenti comprendeva chi era caduto in combattimento, chi era disperso chi deceduto in prigionia.
Nel 1947, con l’uscita del partito Comunista Italiano dal Governo, l’intensificazione della guerra fredda, le elezioni del 1948 in cui definitivamente l’Italia si poneva nel campo occidentale, la creazione della NATO nel 1949 i rapporti con la URSS divennero così difficili che i Sovietici non misero a disposizione i loro archivi e tutto fu portato sul piano della guerra ideologica che diede un altro gran colpo alla acquisizione di dati informativi ed oggettivi.
Occorre peraltro osservare che a cifra delle perdite (ovvero di Caduti, Dispersi e deceduti in prigionia) pari a 84.830, doveva essere aggiornata già nel 1946. Infatti occorre tenere presente che la URSS al termine del conflitto restituì 10030 prigionieri dell'ARMIR. Si deduce quindi che le perdite globali ammontano a 74800 fra Caduti, Dispersi e Deceduti in prigionia.
Il Rapporto UNIRR a questo proposito fa osservare che, nel 1946, si poteva accettare l’asserzione che ".... nessuno, né da parte italiana né da parte sovietica ha potuto indicare quale fosse, in questa cifra, il numero dei morti e quello dei dispersi (delle perdite subite in Russia). Nemmeno i tedeschi, con i quali operavano le unità italiane hanno mai fornito dati al riguardo “[3]
per contatti: ricerca23@libero.it
[1] In sostanza Palmiro Togliatti in una lettera rintracciata negli anni novanta faceva notare che la morte dei soldati italiani anche in prigionia, oltre che nei combattimenti, avrebbe portato più lutti e tragedie nelle famiglie italiane e per questo la pubblica opinione italiana si sarebbe distaccata se non rivoltata contro il governo fascista. Questa lettera è stata presentata come una istigazione di Togliatti ad eliminare i prigionieri italiani e come prova di una delle cause delle perdite subite in questa campagna. In realtà Togliatti stava combattendo la sua guerra dalla parte della Urss, nazione invasa, attaccata, devastata e destinata ad essere occupata pesantemente, con il rango di nazione solo da colonizzare e sfruttare, da parte della Germania. Da un punto di vista fascista, che aveva mandato le proprie truppe a partecipare alla guerra contro la Urss (Mussolini fece scrivere: “se non ci fosse stata la Marcia su Roma nel 1922, oggi non ci sarebbe stata la Marcia su Mosca”, intendendo così come il fascismo combatteva la sua guerra ideologica contro il comunismo) l’atteggiamento di Togliatti era di un mero traditore, uccisore di italiani e quindi atto a far gridare allo scandalo oltre al fatto che giustifica un così alto numero di perdite (i prigionieri una nazione civile non li uccide) e, indirettamente scagionava le responsabilità di chi aveva mandato i soldati in Urss e chi li aveva comandati e condotti sul campo di battaglia; da un punto di vista nazionalistico questo atteggiamento fa sorgere delle perplessità in quanto si invoca lutti e morti in nome di una guerra, anche se si riconosce che si stava combattendo una guerra ideologica senza esclusione di colpi, da un punto di vista comunista questo atteggiamento era nella logica delle cose, nel quadro della sopravvivenza dell’Urss, della sopravvivenza ed affermazione della ideologia comunista contro il nazismo e il fascismo. Naturalmente questo atteggiamento non può e non poteva essere condiviso da un punto di vista umanitario e di solidarietà umana, ne tanto meno dalle famiglie dei soldati italiani in Russia, le uniche vere vittime di tanta violenza.
[2] Cifra che, come vedremo, si avvicina sorprendentemente alla realtà. Quel capitano dell’Armata Rossa era ben informato.
[3] Rapporto UNIRR, pag. 18 e seguenti
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